Questa notizia è stata letta 561 volte

Il 16 gennaio 2016 un folto gruppo di sconosciuti si presentò al cimitero di Cinquefrondi. Varcata la soglia del sacro luogo,  cercarono con gli occhi il camposantaro, che se li guardò attentamente da lontano, per capire di chi fossero parenti quei forestieri. Grande dovette essere il suo stupore quando seppe che cercavano la tomba di don Agostino Zangari. Questi era stato un prete di Cinquefrondi, ma chi lo conosceva ? fin da ragazzino era vissuto altrove e poi era morto da una vita. Come mai dunque quella gente con i fiori lo stava cercando ?  Il mistero fu presto chiarito: quel giorno erano vent’anni dalla morte di don Agostino, e quei signori venuti a omaggiarne la memoria erano stati suoi parrocchiani a Dinami, un paese a una quarantina di km da Cinquefrondi.

don Agostino Zangari

Si sono mai viste scene simili al cimitero di Cinquefrondi ? o forse anche di altri paesi ? verrebbe da dire di no, o molto raramente, perchè perfino i parenti stretti, dopo qualche anno dalla scomparsa dei loro cari, talvolta riducono la cadenza delle loro visite al camposanto. Figuriamoci andare in gruppo, ben vent’anni dopo, a portare fiori. Ormai non si fa nemmeno per i grandi leader politici. Nel caso di don Agostino invece quelli se ne erano partiti addirittura da Dinami, avevano speso dei soldi per i fiori freschi e, non senza emozione, erano andati a dire una preghiera sulla tomba di questo loro caro, due decenni dopo la sua morte.

L’insolita visita non vi sembrerà più tale quando avrete scoperto la storia singolare di questo sacerdote cinquefrondese. Una storia che ha stupito anzitutto l’autore di queste pagine, che si dispiace di essere stato contemporaneo di don Agostino e non averlo conosciuto di persona perchè, credetemi, uomini come lui ne nascono raramente ed è da considerare un privilegio averli accanto nel proprio tempo. Non a caso dunque quei cittadini di Dinami in una fredda mattina del 2016 si misero in macchina per andare a salutare il ‘loro’ parroco di un tempo.

Don Zangari fu un personaggio di altissimo spessore umano e religioso, un evangelizzatore accanito, predicatore instancabile e coltissimo, guida spirituale di ben otto vocazioni religiose nella sua piccola parroccha. Fu un pastore che visse e morì povero, guidò la sua comunità con fermezza e rettitudine morale, da insegnante di religione e poi da pensionato pagò con i suoi soldi e la sua pensione parte del restauro della chiesa parrocchiale e di un santuario, e il loro mantenimento; avviò al lavoro decine e decine di persone, diede lezioni private gratuitamente e regalò libri a frotte di studenti in difficoltà o desiderosi di proseguire gli studi; si prodigò per far superare l’analfabetismo diffuso fra la sua gente e a estendere il benessere, ma soprattutto guidò la comunità cattolica di Dinami da autentico pastore, attento e premuroso nella cura delle anime, di ogni singola anima affidata alla sua figura di sacerdote.

Ne parleremo meglio più avanti, ma già questa anticipazione spiega perchè vent’anni dopo la sua morte, e ancora oggi, a quasi trenta, a Dinami, che già nel 1998 gli ha dedicato una piazza, rimane molto vivo il ricordo di don Agostino, figlio della Cinquefrondi più autentica, popolare e cristiana.

Ma cominciamo dall’inizio, Agostino nacque il 14 ottobre del 1925, era figlio di Domenico Zangari e Carmela Zerbonia, la coppia ebbe in tutto sette figli, lui era il sesto. I genitori erano campagnoli ma abitavano in paese in via Calatafimi, cioè al cafio, a pochi passi dalla chiesa Matrice che il piccolo Agostino frequentò tantissimo fin da quando era solo un bambinetto. Agostino aveva anche un secondo nome, Luigi, ma in realtà in casa lo chiamavano Vincenzo, in ricordo di un nonno mancato prematuramente.

La signora Carmela e i figli man mano che crescevano (Francesco, Michele, Giuseppe, Maria Teresa, Carmela Marianna, e infine Margherita ultima nata dopo Agostino) davano una mano in campagna al capofamiglia. Anche Agostino non sfuggì a questa regola, solo che nella sua testolina di bimbo di 9 anni c’era già altro. Aveva appena finito la quinta elementare infatti quando un giorno disse alla mamma che voleva continuare a studiare e poi andare al seminario per farsi prete, ‘come sta facendo Michele Varone’, un ragazzo cinquefrondese di poco più grande che era già in seminario a Mileto, e sarebbe divenuto sacerdote il 29 giugno del 1946.

La richiesta del bimbo Vincenzo fu esaudita dopo il primo stupore dei genitori, con la benedizione del parroco don Angelo Tropeano che conosceva bene il ragazzino; la famiglia peraltro era molto religiosa e considerò una grazia il desiderio di quel figlio di avviarsi al sacerdozio. Il ragazzo proseguì gli studi al Regio Istituto Tecnico di Taurianova (che all’epoca si chiamava Radicena) e poi finalmente all’età di 14 anni approdò al seminario di Mileto dove cominciò il suo cursus religioso l’1 di ottobre del 1939.

Il papà di don Agostino

Il piccolo Agostino-Vincenzo era sempre in chiesa a Cinquefrondi, gironzolava ammirato davanti alla statua di san Michele, faceva il chierichetto e sbrigava le piccole commissioni affidategli dal canonico Tropeano. Ma si sbaglierebbe a pensare che fosse un ragazzino qualunque, perchè invece aveva uno spiccato spirito di osservazione, una grande curiosità ma anche un caratterino niente male, come avrebbe dimostrato anni dopo al seminario dei gesuiti di Posillipo, a Napoli: l’aveva spedito lì a studiare il vescovo di Mileto Enrico Nicodemo, che aveva saggiato e ammirava le qualità intellettuali del giovane cinquefrondese. Ma le regole organizzative del seminario napoletano erano troppo rigide e antiquate, in alcuni casi forse del tutto incomprensibili, e insomma il seminarista proveniente dal cafio di Cinquefrondi presto manifestò insofferenza e qualche indisciplina di troppo, che gli costarono l’espulsione dalla scuola. Il vescovo Nicodemo, che esercitava su di lui una protezione davvero paterna e benevola, però, invece di punirlo e rispedirlo a casa, lo indirizzò allora a Molfetta (Puglia) a un altro seminario dei gesuiti, e stavolta le cose andarono molto meglio, il giovanotto si trovò bene e lo studio fu proficuo.

La casa dove nacque don Agostino Zangari

Il 22 settembre 1951 Agostino Zangari fu ordinato sacerdote nella chiesa Matrice di Cinquefrondi durante una suggestiva cerimonia presieduta dal vescovo Nicodemo e alla presenza di mezzo paese, d’altra parte l’ordinazione di un prete è sempre un avvenimento e poi la famiglia Zangari era molto nota a Cinquefrondi e godeva di grande rispetto. Pochi mesi dopo il giovanissimo religioso ebbe il suo primo incarico: fu nominato vice parroco, diremmo oggi, a Galatro, dove rimase per cinque anni fino al novembre del 1956. E qui finisce la prima parte della sua vita.

Alla fine di novembre del 1956 per don Agostino si apre un nuovo capitolo della sua singolare storia, con un copione che nessuno sceneggiatore avrebbe mai potuto immaginare. Partecipò al concorso per diventare parroco di Dinami e lo vinse. A quel tempo i parroci venivano scelti dopo una selezione per titoli ed esami: una commissione diocesana presieduta dal vescovo valutava gli studi fatti e la preparazione teorica, umana e pastorale dei candidati. E poi decideva.

Don Agostino superò la prova e fu indicato come nuovo parroco di Dinami, ma il suo mandato cominciò in salita. I cittadini di quel paese infatti volevano un altro sacerdote, che già conoscevano per averlo avuto in via provvisoria dopo la morte del precedente parroco. La nomina di Zangari dunque fu accolta molto freddamente dai dinamesi, e il giorno del suo insediamento grande dovette essere la delusione del giovanissimo don Agostino nel vedere che solo poche persone l’avevano atteso in piazza. Non che si aspettasse moltitudini di gente, Dinami oltretutto era un piccolo centro. Ma certo non pensava di cominciare la sua carriera di parroco in un modo così dimesso.

Quel giorno giunse a Dinami a bordo di un’auto noleggiata dai suoi genitori, si fermò all’ingresso del paese e continuò a piedi verso la chiesa; le strade erano desolatamente vuote e silenziose, per lui non c’era un comitato di accoglienza e nemmeno una banda. Insomma non fu quel che si dice un gran benvenuto. Negli anni seguenti, dopo aver scoperto con che tipo di uomo avevano a che fare, tanti dinamesi probabilmente provarono rimorso per quella loro poco affettuosa accoglienza.

Ma torniamo al primo giorno: quando don Agostino accompagnato dai suoi genitori arrivò in chiesa trovò un po’ di persone, durante la messa altre ne arrivarono, anche spinte dalla curiosità di conoscere il nuovo arrivato, e alla fine della cerimonia finalmente ci fu il pienone.

Come praticamente in tutta Italia, a quel tempo anche la popolazione di Dinami era fortemente divisa tra sostenitori delle diverse fazioni politiche, la Democrazia cristiana e i partiti Comunista e Socialista, e altri minori; la divisione fra questi gruppi aveva inevitabilmente ripercussioni anche sulle cose di Chiesa. Così a motivare la fredda accoglienza riservata al loro nuovo e giovane pastore ci fu, oltre alla già citata preferenza di molti per un altro prete, anche l’incertezza della risposta rispetto a una domanda fondamentale: il nuovo parroco è più ‘vicino’ ai bianchi o ai rossi ? nel dubbio, molti dell’uno e dell’altro schieramento si tennero a distanza. Che tempi !

Per molte delle informazioni di questo articolo dobbiamo dire grazie a Michele Furci, cittadino di Dinami, ex sindacalista della Cgil, storico locale, autore di tante pubblicazioni e ricerche, fra cui si segnala un interessante libro dal titolo: “Don Agostino Zangari –  Nel 60mo del Santuario di Maria SS. della Catena di Dinami” (Adhoc Edizioni). Furci nelle 250 pagine del volume intreccia la storia del santuario con quella della sua comunità e del suo parroco don Agostino. Per la parte che a noi interessa, viene fuori un ritratto sorprendente del prete cinquefrondese che visse con la gente di Dinami per ben 40 anni, cioè tutta la sua vita sacerdotale.

La prima sorpresa dunque i dinamesi la ebbero già nella messa di insediamento: don Agostino non fece alcun riferimento alla politica e ai partiti, nemmeno lontanamente. Parlò invece di Gesù e della Chiesa, della fede e dell’amore, della salvezza dell’anima e del timore di Dio. Fu solo l’inizio di un cammino di predicazione che sarebbe proseguito sempre su questa linea: l’annuncio del Vangelo a tutti, con le parole giuste e con gli atti concreti, senza mai entrare nelle beghe politiche di paese e nelle dispute ideologiche.

Lui era colto coltissimo, traduceva latino e greco senza vocabolario, conosceva tutti i classici, la sua casa era piena di libri, ma quando parlava si faceva capire da tutti. Era un bravo predicatore certo, ma soprattutto era un pastore attento alle sue pecorelle, molte delle quali analfabete o quasi, perciò si sforzava di portare l’annuncio cristiano con un linguaggio che tutti potessero capire. E tanto fu attento a questa pratica che, spesso, invece di usare parole sue nelle prediche, si serviva direttamente di quelle del Vangelo, le declamava, le narrava a modo proprio, accompagnandole con gesti delle mani e con la voce tonante che sembrava presa a prestito da un attore. Ma lui non recitava, era proprio così, al naturale. E si faceva capire, perchè grandi e piccoli, colti e ignoranti lo stavano a sentire ammirati. La sua fama di predicatore si diffuse presto in tutta la diocesi e spesso e volentieri lo chiamavano da altre parrocchie in occasione di feste patronali o altri eventi sacri per tenere orazioni e panegirici.

Non si sa cosa pensasse in gioventù del suo futuro mandato di parroco e se, e dove, desiderasse o sperasse di realizzarlo. In ogni caso Don Agostino svolse tutto il suo apostolato per l’intera vita a Dinami, non si mosse mai da lì, si legò mani e piedi a quella gente, diventò uno di loro, anzi li prese per mano e li guidò con delicatezza e fermezza lungo i decenni difficili del dopoguerra e poi nel tempo del boom economico. Fu consigliere spirituale e amico, veniva chiamato a dirimere contese familiari e dubbi esistenziali, interveniva in aiuto pure nei casi di malattia. Lui per i dinamesi c’era sempre, una sorta di pronto soccorso spirituale in servizio permanente. E non che il suo carattere fosse facile, le sue ramanzine erano proverbiali, la sua dirittura morale e di fede erano limpide, per questo tutti lo cercavano e lo ascoltavano. La sua casa divenne un piccolo porto di mare pieno di studenti di tutte le età, che andavano e venivano per prendere lezioni e ripetizioni e ripassi di tutte le materie,  per utilizzare la sua libreria che pian piano divenne enorme e aperta a tutti e infine trasformata addirittura in biblioteca parrocchiale. Quante delle nostre parrocchie hanno una bella biblioteca a disposizione dei fedeli e dei cittadini, un toccasana per chi vuole studiare ma non può spendere troppo ?

Era bravo quel giovane prete e il suo insegnamento funzionava, la scolarizzazione dei dinamesi ne ebbe indubbi benefici, in tanti presero diplomi e continuarono gli studi alle superiori e poi all’università, spesso affrancandosi da situazioni economiche davvero difficili. Ai contadini che andavano da lui a chiedere consiglio sulla scuola dei figli, dava incoraggiamenti e aiuto, perchè sapeva che dall’istruzione passava la via per la modernità e da quella poteva scaturire anche quel benessere che le generazioni precedenti si erano solo sognato. Mai prese o chiese un soldo per tutto quel lavoro, per i libri che prestava o regalava, e a qualcuno che non aveva soldi per comprare i testi di scuola, li dava lui, di tasca.

Era generoso quel parroco di campagna, che pure viveva con poco e poco possedeva. I genitori l’avevano cresciuto in modo spartano, prodotti della terra, il pane fatto in casa, i fichi secchi curati dalla madre, i pomodori dell’orticello, le olive. Non era mai mancato niente sulla sua tavola, e al superfluo non era abituato e nemmeno interessato. Per anni il suo unico mezzo di trasporto fu la bicicletta, come il don Matteo della tv, solo che don Agostino non stava in un film ma nella realtà di una terra poverissima che lui incarnava nel suo quotidiano.

Dei soldi della chiesa, di quelli delle offerte e di quelli che riceveva come insegnante di scuola media (per circa 30 anni) si serviva in base alle circostanze: se veniva in canonica un povero a chiedere aiuto, lui metteva la mano in tasca e dava dei soldi. C’era una mamma a cui serviva del denaro per curare il figlio, lui pagava. Sono tantissime le testimonianze di chi ha assistito di persona a gesti di questo tipo. Le sue tasche erano perennemente vuote eppure c’era sempre occasione che venissero riempite. Una volta mancavano soldi per il restauro del santuario, e per altri lavori alla chiesa parrocchiale, e lui felice come un bambino annunciò che, essendosi da poco pensionato, aveva avuto gli arretrati dall’Inps, quindi il problema era risolto.

La Provvidenza per lui non era solo un modo di dire, non era una parola per spiegare in forma semplicistica l’arrivo di una donazione improvvisa e imprevista. No, per don Zangari la Provvidenza era quella vera, l’unica, quella del Signore che non fa mai mancare ciò che serve ai suoi piccoli. Tante volte il parroco dinamese alla fine del mese non sapeva come pagare qualche bolletta della parrocchia ma non se ne lagnò mai, poi arrivava una donazione inattesa. E’ andato avanti così per una vita.

A Dinami come in molti paesini della Calabria c’erano tante tradizioni popolari e religiose, frutto di una storia lontana e di una fede genuina. Tuttavia non è sempre oro quel che riluce, anche lì come altrove alcuni riti, alcune processioni, alcune tradizioni mostravano segni di stanchezza, una religiosità più di maniera e devozionale che non un fatto di fede vera che diventa cultura di vita. Nei nostri paesi quante processioni si sono trasformate in mera occasione di passeggio ?  quante sono diventate spettacolo fine a sè stesso ? Hanno ancora senso ? o sarebbe il caso di intervenire con qualche aggiustamento, qualche correzione di rotta ? ce lo chiediamo spesso  nei nostri tempi, invece don Agostino si pose queste domande già 70 anni fa, all’epoca la Chiesa viveva la stagione conciliare foriera di cambiamenti e di tentativi di modernizzazione, lui pensò che anche nel suo paesello occorreva mettere mano e sistemare meglio le cose. Al Signore non servono tradizioni e riti che si fanno tanto per fare, e dunque non servono nemmeno ai fedeli.

Come racconta lo scrittore Furci il parroco dinamese cominciò dunque a introdurre novità, a tagliare qualcosa del passato che sapeva più di pagano che di cristiano, ad azzerare abitudini e segni diventati nel tempo incomprensibili, a purificare alcuni gesti della pietà popolare, riportandoli nell’alveo della fede. Una Domenica delle Palme, quando davanti alla chiesa si trovò davanti “non rametti di ulivo ma alberi di alto fusto”, don Agostino fece sentire la sua voce possente con una bella strigliata, perché quella non era una gara a chi portava in chiesa l’albero più grande. Un’altra volta modificò il percorso della processione della Madonna e abolì l’uso secolare di avvicinare la statua ai balconi così che i fedeli potessero dare la loro offerta appendendo delle banconote a un apposito nastro di stoffa, quel giorno don Agostino con il suo vocione ammonì i fedeli: “che modo è di condurre la Vergine Santa, come se stesse chiedendo l’elemosina ? (…) tornate indietro e proseguite, questa non è una processione pagana”.

A don Zangari si deve anche una sorta di rinascita del Santuario della Madonna della Catena, fu lui infatti a ribaltare la consuetudine che prevedeva la presenza della statua della Vergine all’interno del Santuario solo nei giorni della festa: nel 1983 decise di trasferire la statua della Madonna dalla Parrocchia di S. Michele Arcangelo al Santuario e stabilì che vi sarebbe rimasta stabilmente. Ci furono resistenze, ma alla fine l’ebbe vinta lui, riuscendo in questo modo a rendere il Santuario della Catena un luogo di culto vitale ed accogliente grazie alla presenza dell’effigie della beata Vergine, come sottolinea uno studio dedicato alle chiese di Dinami.

Tuttavia queste e varie altre innovazioni non le fece dall’alto della sua cattedra, nè con la durezza di chi arriva in un posto e decide di cambiare tutto perchè ora comanda lui. Lo fece invece con una lenta opera di persuasione, con la predicazione, con la spiegazione, con la preghiera, spingendo i fedeli a cercare un senso nelle cose che facevano e a lasciar perdere i segni antiquati di cui si poteva e doveva fare a meno. Ed ebbe ragione, perchè i parrocchiani lo seguirono; anche quelli che non erano del tutto convinti si lasciarono guidare e letteralmente prendere per mano da quel prete sapiente che aveva a cuore le loro anime e solo quelle, e non gli importava nulla dei fronzoli.

Altrove qualche parroco subì contestazioni per aver modificato una processione o un rito, don Agostino invece andò dritto per la sua strada portandosi tutti dietro e se c’era qualche mal di pancia, presto passò. E lo stesso fece con le procedure bizantine dei funerali, a quel tempo si usava ancora portare la bara a spalla fino al cimitero attraversando tutto il paese, lui ne abbreviò il percorso, trasformò il rituale delle condoglianze spesso formale e inutilmente lungo e cerimonioso, in un momento più asciutto ma di autentica solidarietà e di preghiera.

Tanto fece don Agostino per riparare e sistemare le chiese del suo piccolo paese e anche il famoso eremo di Soreto, danneggiate dal tempo e dalla cronica mancanza di risorse. Si prodigò in collette e raccolte di fondi, un pò alla volta le restaurò, le abbellì. Trasformò in un luogo accogliente la chiesa parrocchiale di San Michele, che ancora portava i segni dei terremoti del 1905 e del 1908, ed era stata a lungo parzialmente inagibile. Rimise a nuovo la chiesa della Madonna della Catena che, nonostante fosse meta di pellegrinaggi da vari luoghi della regione e anche dalla Sicilia, dopo i terremoti era stata ricostruita solo in parte e senza sacrestia. Rinnovò la chiesa di san Rocco, anch’essa in condizioni molto precarie. Lungo sarebbe l’elenco di tutti i luoghi sacri e le statue cui il parroco del cafio mise mano e un pò alla volta, aiutato da una comunità sempre più partecipe e entusiasta di quel pastore operoso, furono restaurate come si deve.

Don Agostino con don Pasquale Gallucci

Ma non fu solo opera materiale quella di cui si occupò don Agostino, perchè la sua vena di studioso e di fervente mariano lo portò ad approfondire la storia della chiesa e della devozione alla Madonna della Catena risalente addirittura agli inizi del 1600. Proprio in coincidenza con la nomina di don Agostino a parroco di Dinami la chiesa della Catena fu dichiarata Santuario dal vescovo di Mileto. Occorreva dunque saperne di più.

Durante il lungo impegno, durato molti anni, per restituire a quel luogo il giusto decoro e la piena sicurezza per i pellegrini che lo frequentavano, don Zangari si gettò a capofitto in una ricerca storica che culminò in un libro pubblicato nel 1986 (intitolato semplicemente ‘Il santuario di S. Maria della Catena di Dinami‘).

Abbiamo già detto della passione per i libri e la cultura che Don Agostino coltivava fin da quando era un seminarista, pochi sanno invece che lui amava anche scrivere. Lo storico Furci racconta di oltre un migliaio di appunti, omelie, riflessioni e scritti vari che furono ritrovati fra le carte del parroco dopo la sua morte. Don Zangari scriveva a mano, con una calligrafia minuta ma molto chiara, su qualunque cosa gli capitasse fra le mani, normali fogli di carta, ma anche cartoncini, perfino carta da pacchi e poi conservava questi appunti che gli tornavano utili durante la predicazione. Ogni occasione per una meditazione per lui era buona e nulla della sua vita spirituale voleva andasse persa.

Di questa e di tante altre cose della vita di don Zangari, i familiari non hanno mai saputo nulla. Nulla delle sue continue opere di carità, dei suoi studi, dei suoi scritti, della sua predicazione intensa e dei corsi di scuola privata che teneva gratuitamente a casa, e di quanto lo amassero i suoi parrocchiani. Per carattere era riservato e tale si confermava anche durante le sue visite ai familiari a Cinquefrondi, sempre sorridente ma sempre sulle sue, semplice e umile.

30 dicembre 1995 – don Agostino battezza la pronipote Flavia Zangari. E’ la sua ultima volta da vivo a Cinquefrondi

Gli stessi suoi paesani cincrundisi non sapevano niente della vita ricca di umanità e di opere, e di grande testimonianza di cui don Agostino era protagonista. Lui stava sempre un passo indietro. Al suo paese d’origine rimase sempre molto legato e ci tornava ogni volta che poteva. Negli ultimi anni della sua vita ebbe un serio problema di salute e trascorse proprio a Cinquefrondi un periodo di convalescenza: tutti i giorni si recava nella chiesa Matrice, quella della sua infanzia e della sua prima vocazione, partecipava alla preghiera, confessava, diceva messa, conversava con il parroco don Serafino Avenoso. “L’idea che mi sono fatto di lui -racconta oggi don Serafino- è di un uomo di Dio entusiasta della sua vita sacerdotale. Ricordo le sue omelie e il tono solenne della sua voce per sottolineare l’importanza di alcuni concetti. Un sacerdote fornito di vasta cultura e nello stesso tempo di una grande umiltà. Don Agostino resta per noi un modello di sacerdote da imitare. Ringrazio Dio per avermelo fatto incontrare”.

“Con noi nipoti -racconta oggi Antonio Zangari- era sempre affettuoso, contento nel vederci, ma non espansivo, anzi si mostrava quasi timido e riservato. Non parlava mai di sé e delle cose che faceva, o della sua parrocchia o di Dinami, solo dopo la sua morte abbiamo scoperto il suo altruismo e la carità verso gli altri”.

30 dicembre 1995 – Don Agostino al battesimo della pronipote Flavia, figlia del nipote Antonio e di Teresa Lococo, in basso la primogenita Sandra

Il 30 dicembre del 1995 don Agostino battezzò Flavia Zangari, figlia di Antonio e Teresa Lococo e ultima nata fra i pronipoti. Il tempo di festeggiare con i familiari dopo la cerimonia e poi via per oganizzare la fine dell’anno con i suoi parrocchiani. Quella fu l’ultima sua volta insieme con persone di Cinquefrondi, in questo caso familiari, perchè pochi giorni dopo, cioè il 16 gennaio 1996, il sacerdote morì improvvisamente. Aveva appena 70 anni.

I funerali furono celebrati a Dinami, in quella chiesa di san Michele che per quaranta lunghi anni l’aveva avuto come parroco, una grande folla venne a salutarlo, ci furono anche i discorsi ufficiali come si conviene alle personalità illustri.

Don Agostino è sepolto nella cappella delle famiglie Zangari-Condò a Cinquefrondi. Due anni dopo il Comune di Dinami dedicò al suo compianto parroco ‘Piazza don Agostino Zangari’. Nel 2019 anche a Cinquefrondi gli è stata intitolata una via.

16.01.1998 – Inaugurazione Piazza Don Zangari a Dinami

 

 

Le foto sono tratte dal libro di Michele Furci “Don Agostino Zangari – Nel sessantesimo del santuario di Maria SS: della Catena di Dinami” (Adhoc Edizioni) e dall’archivio familiare di Antonio Zangari

 

 

 

 

Non è possibile copiare il contenuto di questa pagina.