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di Mimì Giordano

Saccatijari – scuotere, dare degli strappi per far scendere più a fondo il contenuto di un sacco (olive, cereali)

Sajimèda – individuo di scarsa personalità che si scioglie come la sajimi e si fa trascinare di qua e di là dagli altri

Sajimi – strutto del maiale, sugna, in cui venivano cotte le frittole nella caddara.

Salamita o Salamida – salamandra

Sambucu – sambuco, pianta spontanea. Ricordo quando da ragazzini si andava a Perciana o oltre la curva di la ‘mbesa e ci urticavamo inavvertitamente le mani o le braccia. Qualcuno più grande una volta mi diede una foglia di sambuco, trovata nei pressi e mi disse strofinare con essa le parti urticate e di ripetere più volte la frase: nesci ardica e trasi sambucu. Ricordo che il bruciore si attenuò, ma di sicuro non per la frase, forse per l’effetto del sambuco.

Sangiuvanni – sinonimo di compare, di cresima o di battesimo. Veniva ritenuto significativo il rapporto di comparatico, tanto che lo si affidava a un santo, appunto a San Giovanni

Sangunazzu – sangue di maiale fatto cuocere in acqua e nelle stesse budella. Lo si preparava anche come dolce, aggiungendovi erbe aromatiche e cucinandolo lentamente, anche al forno

Saracijatu – tarlato, consumato dal tarlo

Sarma – unità di misure per cereali, olive e olio, corrispondente a 592 litri. (pari ad 8 tomoli). Un detto popolare recitava così: hai ‘mu mangi ‘na sarma di sali ‘mu poi canusciri se ‘nu cori è fidìli. A dimostrazione di quanto sia difficile leggere nel cuore dell’altro o assicurarsi della fedeltà dell’altro, bisognava fare una cosa impossibile, consumare ‘na sarma di sale per saperlo

Sarmurìgghju – condimento con acqua, sale, olio e aglio. Parola di derivazione spagnola, salmorejo

Sàzziu – come aggettivo, saziato, ben pieno dopo aver mangiato. Come sostantivo sàzziu è la persona che, con la pancia piena, non si cura di chi ce l’ha vuota o semivuota. Ricordiamo il proverbio: ‘u sàzziu non canusci ‘u diunu. Oggi è tornato fortemente ad imporsi questo proverbio, man mano che la forbice fra ricchezza e povertà si è ampliata. Il divario fra il tenore di vita degli abbienti, cui non mancano agi e privilegi ed i meno abbienti, che vivono nei disagi e nelle  rinunce, è pesantemente aumentato

Sbarijatu – preoccupato, assillato, sviato. Sbarijari ‘i gadhini, allontanare, sviare le galline

Sbattimuru – gioco di sessant’anni addietro che si faceva, per lo più  con le monetine da 10 lire. Si sbattevano sul muro e vinceva la monetina che dopo essersi fermata si avvicinava maggiormente a quella dell’avversario. Un attrezzino rudimentale misurava le distanze

Sbàttitu – impegno pressante, gran da fare. Nd’eppi ‘nu sbàttitu oji ! ( ho avuto un da fare oggi !)

Scafugghjari – lussazione, fuoriuscita dell’osso dal suo posto. Probabilmente il termine dialettale più accostato è scavigghjari, cioè l’uscita dell’osso della caviglia dalla sua sede

Scagghjòla – seme della gramigna, ma a Cincrundi definivamo così anche i minuscoli rimasugli delle segherie e delle falegnamerie

Scàngia – malattia dei polli. Proverbio: quandu la scàngia e quandu la pipita, la gadinedha mia è sempi malata. Vale a dire, quando per un male e quando per un altro, si è sempre in qualche guaio

Scarfari – procurarsi un po’ di calore accanto al braciere

Schîancari – svellere, rompere un ramo di un albero. Fra i più deboli quelli del fico che si schjancanu facilmente

Schîattari – scoppiare, rodersi per la rabbia. Oppure far scoppiare qualcosa, un pallone, un foruncolo. Ma anche scoppiare per le risate

Schîavina – coperta ruvida e pesante

Scialapopulu – il venditore ambulante che vende va nelle piazze a buon mercato e raccontando storielle. Oggi non ci sono più ma sono stati sostituiti da un’altra categoria, i venditori di mercanzie elettorali

Scucchîarari – quando una coppia, di soci in affari, di amici, di fidanzati si divideva, a Cincrundi si diceva
scucchîararu

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