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Il 7 settembre del 1963 moriva Pasquale Creazzo. Il poeta e politico nostro concittadino per tanti anni venne pedinato e sorvegliato costantemente da polizia e carabinieri. Ce ne parla nell’articolo che segue il prof. Giuseppe Masi di Lamezia Terme, che ha riepilogato il ricco dossier che il Ministero dell’interno, durante gli anni del fascismo, dedicò al poeta e attivista politico cinquefrondese. Paradossalmente, è proprio grazie a questo dossier pieno di notizie e osservazioni più o meno riservate se siamo in grado oggi di ricostruire gran parte della parabola umana, politica e sociale di questo grande cinquefrondese.
Va detto che storicamente in tutti i sistemi politici, e maggiormente in quelli dittatoriali, gli organi di polizia sorvegliano e controllano l’attività di quanti, a torto o a ragione, sono ritenuti un possibile problema per l’ordine costituito. In Italia accadde al tempo del fascismo, è accaduto durante la vita repubblicana e accade ancora oggi naturalmente. Con l’aggravante che ora i sistemi di controllo delle persone sono molto sofisticati anche dal punto di vista tecnologico e quindi difficili da intercettare; inoltre, a quelli degli organi statali preposti, si aggiungono i ‘controlli’, chiamiamoli così, operati sul privato di ciascuno di noi, con la nostra ignara complicità, da parte delle compagnie telefoniche, degli istituti di credito, dei social, delle multinazionali del commercio ecc. ecc. che sanno di noi e delle nostre abitudini più di quanto sospettiamo. Ma qui il discorso si farebbe lungo.
Tornando a Creazzo, il poeta e politico cinquefrondese già parecchio tempo prima dell’avvento del fascismo fu molto attivo per promuovere le idee socialiste, fra gli operai e i braccianti della Piana; durante il ventennio dunque don Pasquale continuò nella sua opera, pagando anche un caro prezzo personale visto che fu arrestato più volte.
Il saggio del prof. Masi, che ringraziamo, è stato pubblicato nel 2006 sulla rivista online L’Alba della PIana, edita dall’omonima associazione di Maropati che da anni gestisce una bella biblioteca, una delle ultime ancora esistenti nella Piana di Gioia Tauro, nonchè gratuita e aperta a tutti.
di Giuseppe Masi
In tutto il territorio della Piana di Gioia Tauro, “Pasquale Creazzo – come ha scritto una volta il prof. Antonio Piromalli – si mosse nello sterminato numero di braccianti, contadini poverissimi come socialista rivoluzionario, populista con forti venature anarchiche. Agitatore politico, percorre tutta la Piana per organizzare la resistenza contro il blocco agrario e il fascismo, collaborando ai fogli socialisti, divulgando con manifesti, volantini le linee di azione per diffondere il socialismo”. Aggiunge anche che “costantemente sorvegliato dai governi prima e durante il fascismo quale alfiere del socialismo, cominciò dagli anni giovanili a conoscere il carcere politico”.
Pur magnificando, con correttezza e senza malizia, il ruolo svolto dal poeta di Cinquefrondi nell’ambito del socialismo
regionale, il critico letterario di Maropati, giustamente, lo definisce “la voce e la guida della cultura contadina analfabeta […] dotata della consapevolezza delle proprie ragioni e della propria forza”. Una figura sintomatica di “capo carismatico per la sua fede nella rivoluzione proletaria e nella Rivoluzione d’ottobre” e, nello stesso tempo, “un educatore, il quale spiegava le relazioni della realtà, delle classi, le leggi dell’essere sociale”.
L’intento di questo breve saggio non ha propositi di onnicomprensività, non vuole recuperare dalla poesia di Creazzo
nuove motivazioni ispirate alle tematiche di una umanità legata a residui di servitù feudale, oppure ripercorrere l’intero
suo percorso biografico. Né si arroga la pretesa di ricostruire il suo impegno nei partiti dell’Estrema sinistra calabrese ed ancora (punto di vista interessante e suggestivo in tempi di riscoperta dell’emigrazione intellettuale nelle Americhe tra Otto e Novecento), aspira a rintracciare le esperienze più indicative accadute durante l’arco temporale che egli, in cerca di nuovi spazi, trascorre negli Stati Uniti d’America, quando, seguendo l’esempio di tanti conterranei, in una fase in cui gli espatri
per motivi di lavoro da parte dei calabresi toccano il culmine, si trasferisce nello Stato della Carolina del Nord.
Niente di quanto congetturato in questa divagazione storica: l’intenzione si sofferma, soltanto, su un momento singolare della sua formazione e della sua scelta di vita. Sulla scorta di un documento, specifico e caratterizzante, basato su fonti di polizia, per certi aspetti strumenti preziosi, e a tratti essenziali, per tracciare il profilo dei contestatori politici e in particolare di quelli meno noti “che non hanno lasciato tracce significative in altre fonti”, il presente articolo vuole offrire talune indicazioni
sull’adesione di Pasquale Creazzo al Partito socialista italiano, negli anni in cui il partito del Sole dell’avvenire, costituito
a Genova nell’agosto del 1892, era il primo, ed unico in Italia, ad avere una sua autonoma organizzazione ed essere,
contemporaneamente, diffuso in tutte le regioni italiane mediante il supporto degli elementi aggreganti di un’associazione
moderna: le federazioni (regionale e provinciale), le sezioni, i circoli, i giornali e così via.
Creazzo, come molte altre persone, giudicate pericolose per l’ordine e la sicurezza, era registrato dalla polizia e, di conseguenza, regolarmente tenuto d’occhio nei suoi spostamenti. Scorrere, pertanto, il suo dossier personale, custodito nel fondo del Casellario politico presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma, una grande biografia collettiva del popolo sovversivo, vuol dire tratteggiare uno spaccato delle sue incombenze pubbliche.
Il fascicolo redatto dal Prefetto di Reggio Calabria si snoda in questo modo: fornisce, dapprima, le generalità complete, data e luogo di nascita, residenza, condizione sociale, professione, appartenenza politica: anarchico, socialista, comunista o repubblicano.
“Creazzo Pasquale (non ha soprannome) fu Federico e di Grande Giuseppina, nato a Cinquefrondi (circ. Palmi) l’8 marzo
1875, piccolo, possidente, già pittore di stanze ed ora abbozzatore di pipe, celibe. È domiciliato nel comune di Cinquefrondi
(circondario di Palmi). Socialista”. Seguono i connotati: “Statura, m.1,60. Corporatura, robusta. Capelli, neri. Viso, colorito, bruno pallido; dimensioni, grasso. Fronte, spaziosa. Occhio, grigi. Naso, leggerm. arricc.; dimensioni, grassetto. Barba, pizzo corto unito; colore, castana. Mento, basso. Bocca, larga. Andatura, altera. Espressione fisionomica, burbera. Abbigliamento abituale, veste civilmente con stivaloni, con fiore, cravatta rossa e spilla con ritratto di Cavallotti. Segni speciali, nessuno”6.
Il passaggio centrale del rapporto è costituito dai rimandi al vissuto del soggetto. Contiene molte informazioni, compilate da funzionari con svariati preconcetti nei riguardi dell’opposizione politica. Da un senso, si evince il più o il meno grado di pericolosità del sovversivo, dall’altro, velatamente ma non tanto, sono suggerite le istruzioni a cui gli organi locali di polizia devono attenersi per sorvegliarlo continuamente.
Cenno biografico al giorno 30 agosto 1900: “Non gode buona fama nel pubblico per le sue idee sovversive. Di carattere impulsivo e mediocre educazione; è d’intelligenza comune, di poca cultura, avendo fatto la quarta elementare. Non ha titoli accademici né beni di fortuna. Frequenta la compagnia di giovani operai e di altri giovani, figli di piccoli possidenti, che hanno tendenza all’ozio e al socialismo. Si comporta piuttosto bene in famiglia; non gli furono mai affidate cariche pubbliche, amministrative o ……
Fin dal 1898 fece qualche accenno d’appartenere al partito socialista e precedentemente non ha fatto parte di alcuno: non ha influenza alcuna né in Cinquefrondi né altrove; per quanto si conosce si ritiene che sia in corrispondenza epistolare con qualche capo-partito di Reggio Cal. Non ha mai dimorato all’estero, è obbediente al partito socialista di Reggio Calabria e al capo della sezione di Cinquefrondi; non ha, però, mandato corrispondenza ai giornali del partito. Riceve l’Avanti!, la Luce, la Propaganda; cerca propagare le sue idee socialiste fra i giovani operai suoi compagni e nel circolo omonimo in ispecie, con qualche risultato.
Non è capace di tenere conferenze; tiene contegno altezzoso e provocante verso le Autorità. Prese parte, anzi ispirò una
dimostrazione avvenuta nel 1920 in Cinquefrondi al tempo dell’agitazione per il rincaro del pane e venne arrestato durante
la stessa dimostrazione, venne di poi condannato a lire venti di ammenda per rifiuto d’obbedienza. Non fu mai proposto o sottoposto alla giudiziale ammonizione o al domicilio coatto.
Attualmente è sotto l’imputazione di lesioni qualificate, di oltraggio ai RR. Carabinieri e d’istigazione a delinquere. Per l’imputazione di lesioni qualificate la Pretura di Cinquefrondi con istanza 27 agosto 1901 lo condannò a giorni dieci di detenzione. Per il reato d’istigazione a delinquere non vi luogo a procedere come pure per quello d’oltraggio ai RR. Carabinieri. Il 23 novembre 1910 con sentenza del Tribunale di Nicastro fu condannato a L.250 di multa col beneficio della condizionale per il reato di diffamazione col mezzo della stampa: pel detto reato la Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza 13 maggio 1911 lo condannava a mesi dieci di reclusione e L. 833 di multa”.
Nell’incartamento, il Prefetto allega altri fogli in modo da integrare la descrizione del “ribelle” della Piana. Sono gli attestati del suo atteggiamento verso il regime fascista. L’11 giugno 1932 si legge “conserva immutati i suoi sentimenti politici senza dar luogo però a particolari rilievi”. Il 30 dicembre 1934 “Risiede tuttora a Cinquefrondi e mantiene immutati propri sentimenti politici. Non spiega alcuna attività e non dà luogo a particolari rilievi”.
Il 27 dicembre 1938 “Risiede tuttora in Cinquefrondi. Mantiene immutati i propri sentimenti politici ma non spiega
alcuna attività. Viene vigilato. Richiamo la nota del C.P.C. 10601/49540 del 22 febbraio 1937”. Il 26 marzo 1942 si ripete e, al contrario di molti che “in considerazione della buona condotta serbata e non essendo ritenuti pericolosi”, sono cancellati
dal novero dei sovversivi, il Ministero, per il coerente comportamento di contrarietà nei riguardi della dittatura, mantenuto nel ventennio, non valuta l’opportunità di radiarlo dal Casellario. Nella cartella, tra l’altro, sono accluse copie di alcune sue poesie in vernacolo, espedienti di comunicazione con le classi deboli (le esigenze reali di reali contadini), con le quali – come annota il Prefetto –, il poeta sottolinea, in un certo modo, il suo concetto di conflitto sociale ed evidenzia il suo dissenso dal fascismo. A Marti e Natale (scritti nel 1940), e poi Firmamento (Calendariu), O Signuri (incompleto) i titoli dei quattro componimenti.
Concludiamo con un’ultima postilla. Abbiamo frammentarie notizie su una sua collaborazione ai fogli socialisti della regione. Nella rievocazione del figlio sono indicati: La Luce, organo del circolo di Reggio, fondato nel 1897 da Luigi Crucoli e stampato fino al 1904, e Calabria, Avanti!, settimanale della federazione provinciale di Catanzaro, diretto da Enrico Mastracchi. Un altro possibile sbocco, a nostro parere, può essere rappresentato da altri due giornali di orientamento socialista, La Lotta di Melito
Porto Salvo a cura di Pasquale Namia, più organico perché periodico ufficiale della federazione di Reggio Calabria, e La Giovine Calabria, più sfumato e dato alle stampe dal Crucoli, una volta dimessosi dal gruppo dirigente reggino
o espulso per contrasti interni.
(articolo pubblicato nel 2016 sul periodico online ‘Alba della Piana’)
Desidero esporre qualche considerazione su quanto leggo nella puntata di oggi dedicata a Don Pasquale Creazzo, del quale ricorre il 60esimo anniversario della morte. Dai resoconti del Prefetto,riferentesi al periodo che va dall’ottobre 1922 al 1942, non leggo alcuna nota persecutoria.Viene sempre confermata la sua figura fisica, la sua condizione sociale, la posizione politico- ideologica, i suoi contatti, le sue attività. Rapporti tipici in un sistema autoritario e dittatoriale. Fatte le dovute proporzioni e gli opportuni “distinguo”,chiunque di noi, impegnato ideologicamente, nell’Italia post-fascista, è stato schedato e controllato. Noto quanto sopra e lo collego al fatto che Don Pasquale Creazzo non odiava il podestà Della Scala, stimava il medico Francesco Ferrari, fascista e benefattore, scomparso prematuramente e al cui funerale Creazzo fece un’affettuosa orazione funebre. V’è di più: il figlio di Don Pasquale, Garibaldi nel 1933 era responsabile del locale sindacato fascista degli artigiani. Il fratello Carlo grande musicista e compositore, era un
estimatore del podestà e non professava idee antifasciste. Tutto questo non esclude che Don Pasquale Creazzo fosse un fervente antifascista, ma da quanto leggo non rilevo sue incarcerazioni durante il fascismo. Chiedo che mi si dimostri il contrario, con un commento su questo sito, se mi sto sbagliando.Quanto egki e tanti come lui ebbero a patire per le azioni rivoluzionarie prima del fascismo, in chiave pacifista e neutralista sulla prima guerra mondiale, ciò costituisce il motivo principale della frattura del movimento socialista e dei successivi sviluppi storico-politici. Questi portarono, tra l’altro, alla fine della guerra, alla costituzione dei Fasci di Combattimento e poi al programma fascista “sansepolcrista” del 1919. Quello di cui Togliatti e altri 35 sottoscrittori della lettera “ai fratelli in camicia nera” nel 1936, desideravano la realizzazione. Desidero esprimere una riflessione: quando penso che Pietro Nenni, che perse la figlia Vittoria in un campo di concentranento tedesco, non odiò mai Mussolini, suo conterraneo,rifletto ancora sulla nkbile figura di Nenni. Questo mi fa ricordare che anche il capo del fascismo, da giovane patì il carcere per gli stessi motivi per i quali lo patirono Nenni, Michele Bianchi, Corridoni, altri socialisti, sindacalisti ed anarchici. E, nella nostra terra, anche Don Pasquale Creazzo. C’è un sottile filo storico e ideale comune che non si può recidere, o ignorare. È stato lo strappo del movimento socialista del 1914 a generare altri destini. Nella grande complessità della sua figura,della sua esperienza e della prassi, Bettino Craxi aveva compreso qualcosa in merito e un altro socialista, Landolfi, pure.Ma quella era gente che aveva l’intelligenza…
Vorrei provare a colmare qualche lacuna storica. Siamo purtroppo ormai abituati ai politici di professione, 4 pelandroni che vivono a spese della collettività e che non hanno arte né parte. Creazzo non era un politico di professione, nessuno gli passava lo stipendio, era costretto a lavorare duramente per portare un tozzo di pane a casa. Ma aveva le sue passioni, la politica certo, ma sebbene autodidatta, anche la letteratura, la storia, la pittura, l’archeologia. Il prefetto di Reggio nella sua scheda scrive che non era capace di fare discorsi. Mi fa ridere. Nei funerali di personaggi importanti le orazioni funebri erano appannaggio soprattutto di Creazzo e Della Scala. Un tandem che non ne perdeva uno, ed il giorno dopo si accapigliavano su opposti versanti politici. Come Peppone e Don Camillo. Già nel 1910 dopo il funerale del
giovane ST. Luigi Carrera scoppia la prima grana. Oratori : i soliti due. Ma dopo circa un mese appare sul n° 28 del Risorgimento , edito a Nicastro , un trafiletto in cui si accusa un politico di Cinquefrondi di“sostituire il mesto e sentimentale discorso funebre con la bassa propaganda elettorale. Iene immonde!”. La firma è uno pseudonimo “Marchio”. Della Scala scrive al Direttore del giornale e questi subito se la canta: mi ha inviato l’articolo Pasquale Creazzo! . Processo, condanna di Creazzo a 10 mesi di reclusione + 833 lire di multa+ spese legali. Questo il clima prefascista. Durante gli anni del fascismo Creazzo non recede di un passo dalle sue posizioni politiche, ma si occupa anche delle sue altre passioni, soprattutto la storia e l’archeologia. Ed il fascismo ha bisogno di lui .Picozza in spalla accorre subitaneo ovunque ci sia notizia del ritrovamento spesso fortuito di reperti antichi. Scava anche nei terreni di Della Scala quando un colono di questi, Ciurleo Michele detto colaciuni, nel piantare una staccionata sente sprofondare il terreno. Ecco come la racconta Creazzo: “Chiesi il permesso al proprietario del luogo Comm. Francesco Delle Scale, primo Podestà del Comune, di sondare quel punto di terreno, ed egli nonostante la tensione politica che ci teneva avversi, ad onor del vero, non solo acconsentì, ma volle essere presente agli scavi. Mise a mia disposizione i suoi coloni, e scoprimmo diverse tombe, una legata all’altra, in muratura di pietre e mattoni, nelle quali esistevano gli scheletri umani “ . La passione per l’archeologia fu per Creazzo totalizzante e compose a proposito una delle sue più belle poesie : TAMBUTI DI CRITA , poco nota rispetto alla celebre la zappa e la sciabola che Creazzo, tuttavia, in una lettera del 10 gennaio 1929 al Preside del Magistrale di Reggio, definiva “opera minore”. In quegli anni cullava un sogno : la creazione di un Museo Municipale . Ne aveva parlato con Della Scala prima e con Pasquale poi, ma i due non “ntinnavano”. Al massimo gli fu concessa una saletta nella Scuola Elementare dove depositava tutti i reperti archeologici. Nel 1932 il Rotary di Napoli e la R. Sovraintendenza per l’Arte Medioevale scrivono al Podestà Provinciale chiedendo notizie sui castelli della provincia. Trasmessa la lettera al Podestà di Cinquefrondi, questi non trova altri in grado di relazionare sulla questione che Pasquale Creazzo, il quale fa una scheda su “ Torre Antica appartenente agli eredi Marchese Aiossa” . Il 12 novembre 1932 il Rotary ringrazia con una cartolina postale l’ “ Illustrissimo signor Poeta Pasquale
Creazzo – pittore “. Stessa storia nel 1935 . Questa volta il Rotary napoletano vuole altre notizie. Creazzo si esibisce in una performance straordinaria ed invia una relazione sulla “ Porta Vecchia in via del Tocco” ed allega anche un proprio dipinto ad olio con la ricostruzione virtuale, tipo Piero Angela, dell’arco completo
che invece era stato demolito qualche decennio prima. Ma non è finita qui. La relazione porta in calce la seguente firma: “Per incarico del Podestà Avv. Francesco Depasquale – il redattore storico – P.CREAZZO GRANDE. Cinquefrondi 7 Aprile 1935 (XIII)”. Ovviamente su carta intestata del Comune.
Porgo i complimenti sinceri e vivi per la dettagliata e sorprendente descrizione che Franco Tropeano ha fatto delle doti e, direi, dei meriti di Don Pasquale Creazzo, messi a disposizione del nostro paese e della istituzione che all’epoca lo rappresentava. In questo modo ci si riconcilia con alcuni insopprimibili bisogni di conoscenza e di verità che prima o poi bussano alle coscienze.
Credo di non essermi tanto sbagliato, nel mio precedente commento, nell’aver riscontrato che Don Pasquale Creazzo non fu incarcerato, seppur controllato, durante i vent’anni di fascismo paesano. Esecrabile è il gesto di prevaricazione del quale fu vittima- subì uno schiaffo- a fine anni ’30 da un esponente fascista locale. Ma questi atti nella storia delle contrapposizioni ideologiche e politiche d’Italia sono innumerevoli e avvenuti dappertutto. E non possono costituire metro di valutazione e di giudizio su fenomeni e processi più generali e più ampi. Da quanto Franco Tropeano, con dovizia di particolari descrive, Don Pasquale Creazzo è una figura storica e identificativa di Cinquefrondi ancora più chiara; e condivido. Quantunque non tutti possiamo condividere gli aneliti “alla rivoluzione russa e al comunismo” perchè sappiamo bene quale satrapìa e quale barbarie comportarono, resta la sua vita di difensore degli umili e degli ultimi, resta il suo sindacalismo rivoluzionario. Questo non differisce da quello- quanto per fare un esempio nazionale , di Filippo Corridoni, socialista, sindacalista rivoluzionario, interventista nella Prima Guerra Mondiale, caduto eroicamente sul Carso il 15 Ottobre 1915. Don Pasquale Creazzo, come Corridoni “era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, senza chiedere nulla”. Quanto scrive e descrive Franco Tropeano reca, spero coscientemente e consapevolmente, un servizio alla verità storica. Creazzo fu coerente fino alla morte, ma nel primo decennio del Novecento, gli anni delle persecuzioni e del carcere, era materialmente e idealmente in compagnia di quei socialisti e sindacalisti rivoluzionari che, per lo svilupparsi della lacerazione del movimento socialista, intrapresero poi altre strade. Da non sottovalutare che il movimento comunista ispirantesi alla rivoluzione bolscevica del 1917 poneva in essere in Italia violente espressioni, acuitesi dal 1920 al 1921, e indirizzava fra l’altro discriminazione violenta, insulti e atti di prevaricazione contro i reduci della prima guerra mondiale, contro i nazionalisti, continui disordini, procurando una situazione sociale pericolosa, in un sistema politico-parlamentare molto compromesso e lassista. Il popolo italiano, stremato da quattro anni di guerra mondiale, da perdite immani, da due anni di disordine totale, anelava a rinascere nell’ordine, nella pacificazione, nella giustizia sociale, richiedeva leggi, assistenza sociale, previdenziale, opere pubbliche. Fu così che il fascismo, senza alcuna rivoluzione cruenta, si aprì la strada del potere. Lo volle gran parte degli italiani. Dieci anni dopo, nel 1932, Isaac Babel, scrittore sovietico e cantore dell’Armata Rossa, dopo aver visitato l’Italia affermava:”…il cambiamento in Italia era enorme, le ferrovie migliori d’Europa, la miseria era diminuita…c’erano i nostri ingegneri qui per imparare…in genere si può dire che al mondo d’oggi non c’è governo migliore di quello italiano”. Massimo Gorki definiva il capo del fascismo “…uomo d’intelligenza superiore…”
Quello che l’Italia fece in quegli anni non c’è bisogno che lo descriva io: sono ancora esistenti le tracce di tutto e dappertutto.
Concludo, rinnovando a Franco Tropeano le espressioni amichevoli di civile, leale e disinteressato confronto su questi temi storici e chiedo a qualche altro visitatore del sito di intervenire perchè, in assoluta serenità e onestà intellettuale, si possano compiere, nel nostro piccolo, scambi di vedute miranti a passi di pacificazione.
E perchè le istanze sociali – e socializzatrici- in un contesto di sovranità nazionale, non muoiano mai.