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In un giorno d’estate del 1918 un grave crimine ‘sconvolge’ Cinquefrondi. Il prete che governa la chiesa del Carmine coglie sul fatto un gruppetto di giovani ladri nella proprietà ecclesiastica, cerca di fermarli ma quelli se ne fregano; lui però li riconosce e li denuncia ai carabinieri.
Sui giovanotti, in questione, l’accusa è pesantissima: furto e violazione di una proprietà privata. Il prete che li denunciò si chiamava don Gaetano Filarito, un personaggio che le cronache e le memorie di quei tempi ci hanno tramandato come non facile, dal carattere un po’ irascibile, forse un tantino attaccato al denaro e ai beni materiali. Come canonico del Carmine era più di un semplice prete, esercitava una sorta di autorità e un ruolo sociale assai importante in paese.
Sulla scena pubblica, a difesa dei malviventi intervenne don Ciccio Della Scala, che a quel tempo era un personaggio già importante, Deputato Provinciale e Sindaco ombra, e destinato anni dopo a diventare capo del partito fascista cittadino e Podestà di Cinquefrondi.
Che i ladri fossero difesi da don Ciccio, fu certamente inaspettato. Della Scala e tutta la sua famiglia infatti erano molto legati al Carmine; lui stesso aveva anche ricoperto per un paio d’anni il ruolo di Priore dell’Arciconfraternita di quella chiesa; lì si erano svolti, e lo sarebbero stati anche in futuro, i funerali di tanti familiari della casata. Insomma tra i Della Scala e il Carmine c’era un legame fortissimo. Ciònonostante, Della Scala si schierò con i ladri.
Il giorno del processo, di primo mattino si radunò davanti alla Pretura una piccola folla. Tanti volevano assistere a quello che si annunciava come un grande spettacolo.
Ma le aspettative dei curiosi vennero deluse. Il pretore infatti dispose che il processo si sarebbe svolto a porte chiuse, perchè gli imputati erano minorenni. Quindi in aula poterono entrare soltanto gli avvocati, le parti e i funzionari. Mentre le persone che avevano sperato di assistere al duello legale dovettero restare fuori dall’aula di giustizia, e lì aspettare l’esito del processo.
Di lì a poco, un secondo colpo di scena: l’avvocato chiamato a difendere i ragazzi è Arturo Della Scala, secondogenito di don Ciccio, 24enne fresco di laurea, che proprio quel giorno effettuò la sua prima difesa in un’aula di giustizia.
Prima dell’inizio andò a vuoto un ultimo tentativo di conciliazione fra le parti: don Filarito fu irremovibile e non volle ritirare la denuncia. Lui i ladri li aveva colti sul fatto, quelli si erano fatti beffe di lui, andavano dunque puniti.
Per i furfanti si annunciava una facile condanna, il furto c’era effettivamente stato e gli autori peraltro non lo negavano. Non c’era dunque modo di scamparla.
A inizio seduta, il pretore indicò i fatti, poi parlò l’accusa, quindi la difesa. Il giovane Della Scala tenne un’arringa molto aggressiva e piena di riferimenti storici, culturali e religiosi, tanto che il giudice Fonzi fu costretto addirittura a riprenderlo un paio di volte, perché fuori tema.
Infine il pretore si ritirò per riflettere e prendere una decisione e al suo rientro in aula diede un verdetto che sorprese molti, i ladri furono infatti assolti per mancanza di prove ! I ragazzi sotto accusa dunque la fecero franca e tornarono liberi.
Ma perchè furono assolti se avevano confessato il furto ?
Gli imputati si salvarono perché, secondo i dettami della legge, la refurtiva non fu mai trovata. E come poteva esserlo, visto che quei giovanotti erano accusati nientemeno di aver rubato, e mangiato, dei fichi dall’orticello del Carmine ?
Dunque il giudice, saggiamente, in assenza di prove ‘certe’ del furto, ebbe la possibilità di mandare liberi quei ‘criminali’ e fece fare una pessima figura a quel sacerdote malaccorto, che pretendeva di sbattere in galera dei ragazzini che gli avevano mangiato alcuni fichi del ‘suo’ orto. Arturo Della Scala con quella prima vittoria in un’aula di giustizia cominciò la sua carriera e negli anni successivi si trasferì a Roma dove aprì un importante studio legale.
La storia completa di questa vicenda e un altro sconcertante episodio che ebbe per protagonista sempre don Filarito, viene raccontata diffusamente nel libro
Francesco Della Scala e altre storie dimenticate
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