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Da piccolo lo chiamavamo Rafelino, anche da sindaco è sempre stato per tutti Rafelino e lo è ancora oggi che si avvicina agli 80 anni. A Cinquefrondi Rafelino è Raffaele Manferoce, farmacista e ex presidente dell’Ordine provinciale dei farmacisti, già consigliere comunale, vicesindaco e sindaco, storico leader del partito socialista, legatissimo a quel monumento nazionale del Psi che fu Giacomo Mancini.
La popolarità di Manferoce in paese è sempre stata costante ed è andata di pari passo con le varie fasi della sua vita. E’ cominciata da ragazzo, è proseguita durante l’impegno politico soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, non si è esaurita nemmeno adesso che si è ritirato dalle attività pubbliche e si limita a governare la sua farmacia, a vedere amici e conoscenti, e a parlare sempre di politica ma da semplice osservatore.
Il fatto è che Rafelino Manferoce è un leader naturale, esercita una allegra simpatia verso tutti, inoltre i buoni rapporti umani, la gentilezza e la generosità con il prossimo sono sempre stati la cifra della sua personalità. Questo non gli ha impedito durante la carriera politica di essere durissimo con avversari e nemici politici, tirando fuori unghie e denti quando necessario.
Rafelino si può definire un figlio d’arte, ha ricalcato praticamente in tutto la parabola del padre Mico: ne ha seguito le orme professionali studiando per diventare farmacista, come il padre è stato per lunghi anni leader del partito socialista e intimo amico di Mancini, infine come il padre è stato consigliere comunale e sindaco di Cinquefrondi. Dal papà ha ereditato, oltre alla storica casa di famiglia in via Roma, anche l’abitudine di tenere lunghe dissertazioni politiche nel retrobottega della farmacia, una specie di sede ombra della sezione del partito, e di tirare le chiacchierate e le polemiche con amici e compagni fino alle ore tarde, a volte molto tarde.
Al tempo in cui fu sindaco, la vita notturna non è stata molto perdonata a Rafelino dai suoi avversari (per la verità non tutti), i quali non potendolo accusare di particolari malversazioni o inadempienze, lo accusavano però di dormire troppo e di conseguenza di recarsi molto tardi al Municipio, dove non arrivava mai prima di mezzogiorno, quando andava bene. Cose che fanno sorridere, manco il sindaco fosse un impiegato con obbligo di timbrare il cartellino, come un dipendente stipendiato.
Discutere di politica fino alle ore piccole aveva in realtà i suoi innegabili benefici, perchè Rafelino progettava il futuro e arringava i presenti, chiedeva pareri e ascoltava lamentele, faceva il punto sui rapporti con alleati e avversari, gestiva le inevitabili polemiche cittadine, cementava amicizie, strappava sostenitori agli altri partiti, teneva in considerazione gli umori dei paesani. In quella stanzetta minuscola e pure poco illuminata, oltre il bancone della farmacia, per anni e anni si è mangiato pane e politica, quella buona, sana, oggetto di polemiche anche accese, a volte aspre, ma senza mai ombre e opacità.
Nelle sue nottate con compagni di partito e amici vari, Rafelino Manferoce ha dunque consolidato nel tempo la sua figura carismatica a livello locale e non solo, ed ha pure segnato alcuni punti importanti nella storia cincrundisa. Per esempio ha rotto il bipolarismo Dc-Pci nel nostro paese, facendo crescere il suo partito, che all’epoca era in realtà un partitino al traino del Pci, ma sotto la sua guida è diventato un partito forte con tanti voti e ha dunque esercitato una non trascurabile influenza. Innegabilmente Rafelino trasformò il Psi cinquefrondese da comprimario in protagonista alla pari con gli altri due partiti storici.
Manferoce fu anche un innovatore, perchè prima e meglio di altri riuscì a intercettare il desiderio e l’attesa di nuovo che serpeggiavano in paese, fu capace di aggregare tanti giovani mostrando loro che esisteva lo spazio per un progetto di crescita e che Cinquefrondi non era condannato a restare un paesino. Ebbe intuito e coraggio Rafelino, e i risultati lo premiarono anche quando le cose non andarono nella direzione voluta, come quella volta che cercò di scippare la sede degli uffici sanitari di zona a Polistena per portarli tutti a Cinquefrondi. Solo per averci pensato bisognerebbe dargli una medaglia.
Erano gli inizi degli anni Ottanta, i politici dovevano stabilire in quale paese portare la sede della Asl (che all’epoca si chiamava Usl), quindi uffici e molti ambulatori. Non era solo un pennacchio campanilistico, evidentemente, perchè essere sede Asl di zona significava che ogni giorno centinaia di persone di altri paesi sarebbero venute a Cinquefrondi per le loro necessità. Quindi movimento di gente per bar e negozi, cartolerie e tabaccherie. E soprattutto significava un salto di qualità, da paesello a cittadina.
Nell’allora Comitato di gestione della Usl, l’organismo che avrebbe dovuto votare, sedevano i rappresentanti dei comuni di tutta la zona. I partiti che dettavano legge erano sempre gli stessi: il Partito Comunista, la Democrazia Cristiana e in misura minore il Partito Socialista; i restanti pochi consiglieri di altri partiti contavano poco o nulla e in genere si alleavano con i più forti. Ognuno dei tre partiti storici si schierò: i comunisti con Polistena, anche per il fatto che c’era l’ospedale. In questa scelta pesava molto il ruolo della potente amministrazione comunale polistenese, che era comunista. La Dc puntava su Laureana, paese governato da un influente sindaco Dc. I socialisti, infine, gruppo minoritario, tifavano per Cinquefrondi.
Dentro questi schieramenti c’erano però consiglieri in forte imbarazzo con la disciplina di partito: ad esempio i comunisti di Laureana che non volevano votare per Polistena, e così i democristiani di Cinquefrondi destinati a sostenere Laureana, o i socialisti di Polistena chiamati a votare un paese diverso dal loro. Il dilemma era: rispettare gli ordini di scuderia e votare contro il proprio paese oppure ‘tradire’ il partito e votare liberamente?
Viste le forze in campo, era scontato che sarebbe stata Polistena la sede della nuova Usl. Invece le cose andarono diversamente, perchè l’intraprendente farmacista cinquefrondese, infilatosi come una volpe nel pollaio di quelle contraddizioni, riuscì a scompaginare tutto. Al momento decisivo il sotterraneo lavoro di tessitura di rapporti, coltivato per mesi da Rafelino (a quel tempo vicesindaco di Cinquefrondi, in alleanza con i comunisti) portò i suoi frutti inaspettati: a sorpresa infatti la maggioranza dei voti andò a Cinquefrondi. Nel segreto dell’urna alcuni comunisti votarono infatti diversamente dalle indicazioni e così anche due cinquefrondesi democristiani, il prof. Ciccio Puntillo e il geom. Ettore Giordano che scelsero il loro paese e non lo nascosero. Altri consiglieri nel segreto dell’urna disattesero le indicazioni per motivi diversi. Morale della favola, Polistena e Laureana vennero beffate.
La politica locale fu terremotata da quella scelta. I comunisti polistenesi la presero come un affronto, ci furono riunioni infuocate a livello locale e provinciale, minacce di espulsioni, liti e accuse. Idem fra i democristiani, che sognavano di vincere con Laureana, ed erano pronti alle rappresaglie contro chi non si era attenuto alle indicazioni. Ci fu una spietata caccia ai traditori.
Manferoce trionfò su tutta la linea, e naturalmente si fece molti nuovi nemici nella Dc e nell’allora Pci. Purtroppo però quel gran lavoro politico non ebbe seguito e gli uffici della Usl non vennero mai trasferiti a Cinquefrondi perché, come alcuni temevano, molti dei consiglieri sconfitti fecero in modo che la questione si fermasse. Fra ricorsi e controricorsi, mai nessun responsabile prese la decisione di ordinare il trasferimento concreto degli uffici, perché c’era sempre un problema nuovo: la sede ancora inadeguata, le misure dei locali non ritenute sufficienti, la sicurezza, e poi quale ufficio si sposta prima ? quale dopo ? chi autorizza la spesa ?…. Insomma, ne nacque una grande sceneggiata degna di Eduardo de Filippo, o almeno questa è la lettura che se ne potè dare dall’esterno; così la questione Usl pian piano affondò nelle sabbie mobili della burocrazia, il passare del tempo e delle amministrazioni fece il resto. Gli uffici Usl già esistenti e quelli di nuova istituzione restarono praticamente associati all’ospedale di Polistena e lì sono rimasti.
A nulla servirono le proteste, i tentativi di sbloccare la vicenda. Non ho più saputo se poi la famosa delibera del trasferimento di sede a Cinquefrondi sia stata revocata o semplicemente lasciata cadere nel vuoto. Comunque sia, resta un episodio storico da ricordare, perché la piccola Cinquefrondi, spinta da Manferoce e dal suo gruppuscolo di consiglieri aveva provato a sovvertire il corso degli eventi. E anche se gli uffici sanitari non furono mai trasferiti da noi, quel tentativo servì a riportare il nostro paese in prima fila nella politica della Piana. Era dai tempi del progetto per la Superstrada (lanciato nel 1968 dal sindaco Dc, avv. Francesco Raschellà) che Cinquefrondi aspettava di tornare protagonista di una grande iniziativa politica fuori dai confini cittadini.
A proposito della Superstrada, Manferoce da vicesindaco e poi da sindaco ingaggiò una battaglia, e stavolta la vinse davvero, per farne cambiare il percorso. Inizialmente infatti il progetto prevedeva che lo svincolo cinquefrondese fosse collocato più o meno a metà della via fra Polistena e Cinquefrondi, in pratica in contrada Violelli. Ma questo a Manferoce
non andava giù, perché quel territorio era ed è ancora oggi zona di sviluppo urbanistico e di quasi unificazione con Polistena, e l’immenso cantiere e tutto il corollario di opere e sbancamenti necessari avrebbero devastato quella parte di paese.
Ne nacque un fiume di polemiche politiche e battibecchi in consiglio comunale e sui giornali; scoppiarono forti dissidi del Psi con il Pci cittadino e con quello polistenese. C’erano probabilmente ragioni e torti in entrambe le posizioni. Anche la Dc, per bocca di Raschellà sosteneva il tracciato originario, che sbucava a metà strada fra i due paesi. Venne a crearsi una situazione di altissima tensione politica, la maggioranza che governava Cinquefrondi andò in crisi, si fecero vicine addirittura le elezioni anticipate, ma in extremis venne messa una toppa: la superstrada sarebbe passata da contrada Pizzicato, correndo poi su piloni fino alla Limina e quindi fino a Gioiosa Jonica.
La polemica in quei giorni fu feroce e non risparmiò nessuno. Furono fatte anche dure accuse, tipo che i socialisti avevano voluto spostare il percorso della grande strada per non danneggiare i terreni di qualche loro sostenitore o dirigente. Magari era vero pure questo, ma in realtà la visione di Manferoce non era del tutto sbagliata: attorno allo svincolo della superstrada, poi realizzato in territorio cinquefrondese, sono sorti in questi anni un grande centro commerciale e numerosi altri insediamenti produttivi e aziende di vario genere che hanno in qualche modo dato vita a una importante zona economica di Cinquefrondi. Uno sviluppo inimmaginabile, e soprattutto impossibile, se lo svincolo si fosse realizzato nel bel mezzo di una zona già largamente urbanizzata.
A Rafelino piaceva pensare in grande. Nella prima Amministrazione che guidò da sindaco (in coalizione con la Dc) vennero progettate opere che sarebbero state completate anni dopo, ad esempio l’attuale nuovo Municipio, dato che il vecchio palazzo comunale inaugurato da Della Scala nel 1916 era ormai insufficiente per le esigenze del momento. Fu dato incarico a un progettista per un grande Palazzo comunale, che poi tra lungaggini e rinvii vari venne finalmente completato molti anni dopo, quando Rafelino non era nemmeno più consigliere.
Un altro progetto rilevante fu l’impianto di illuminazione del campo sportivo per le partite in notturna, rilevante perchè fu uno dei primi della provincia di Reggio e anche perchè voleva essere una spinta affinchè la Cinquefrondese, cioè la squadra di calcio cittadina, puntasse in alto verso nuovi e lusinghieri successi, aiutata appunto da un impianto all’avanguardia.
Il paradosso, che ad alcuni potrà sembrare incredibile, è che all’epoca il dominus della Cinquefrondese era l’avv. Francesco Bellocco, dirigente del Pci nonchè ex sindaco, con il quale però i rapporti di Manferoce sono sempre stati abbastanza tesi, i due si beccavamo spesso in consiglio comunale. Eppure quando ci fu da ammodernare lo stadio, Rafelino non si pose certo problemi e sostenne il progetto senza alcuna remora. Altri tempi, altre persone.
Risale sempre a quell’epoca la realizzazione di un parco-giardino al fianco del campo sportivo, laddove c’erano solo sterpaglie e sassi. Un’altra opera invece attirò su Rafelino le ire dell’avv. Raschellà: il rifacimento di piazza Marconi. In quella piazza era stata costruita proprio da Raschellà, utilizzando la sua indennità di sindaco, una bella e grande fontana. Ma negli anni, vuoi per la cronica carenza di acqua, vuoi per la manutenzione appossimativa, quella fontana era rimasta in bella mostra, ma quasi sempre desolatamente vuota, tanto che i ragazzini ci giocavano dentro. L’amministrazione di Rafelino decise di abbattere la fontana, rimuovere la pavimentazione di cemento della piazza e metterci invece una villetta, una specie di grande prato dove i bambini potessero giocare liberamente. Raschellà se la legò al dito, come un affronto personale. Negli anni il progetto è stato via modificato, fino al risultato attuale, in verità poco brillante, fatto di moltissimo cemento e zero prato.
Altri importanti lavori di ammodernamento interessarono la villa comunale, fu proprio allora che venne realizzato il passaggio pedonale pavimentato che compie tutto il giro del giardino pubblico. Quell’amministrazione, in allenza con la Dc, restò in carica poco più di un anno, la coesistenza tra democristiani e socialisti fu difficile, la diffidenza tra i due gruppi troppo forte, e anche le tendenze a volte autoritarie di Rafelino contribuirono a far saltare il banco, e presto fu tempo di elezioni anticipate.
Rafelino amava fare le cose in grande e ciò si riverberò anche sulle feste dell’Avanti. In quegli anni i partiti politici organizzavano feste estive a scopo propagandistico, lui scatenò i suoi compagni e i suoi giovanotti, voleva che le feste dei socialisti di Cinquefrondi fossero speciali e colpissero l’immaginario collettivo. E in effetti a giudicare dalla quantità di persone che vi partecipava ebbe ragione. Si ricorda un concerto di Anna Oxa con una folla straripante in piazza Marconi, e le vie principali del paese piene di gente a passeggio. In un’altra occasione uno spettacolo di Carmen Consoli, beniamina dei giovani di allora fece il pienone nella piazza dove sorgeva il vecchio carcere (e ora c’è il nuovo municipio). Feste, va ricordato, organizzate solo grazie a sottoscrizioni private e forse anche con soldi sborsati di tasca dallo stesso Rafelino.
Vorrei raccontare ancora due episodi che riguardano Manferoce, e che quasi nessuno conosce, ma utili a capire il personaggio. Svariati anni dopo la sua prima volta da Sindaco, il farmacista tornò a fare il primo cittadino (1993-97) in alleanza con i comunisti. Un giorno alla fine del 1995 lo andai a trovare. Avevo saputo che una delegazione guidata proprio dal sindaco si sarebbe recata in Argentina per incontrare gli emigrati e partecipare alla grande festa di san Michele che ogni anno si celebra alle porte di Buenos Aires.
Nell’occasione la delegazione cincrundisa avrebbe donato agli argentini una copia della statua di san Michele, realizzata dall’artista ed ex calciatore Michele Manferoce. Dissi al sindaco che ero pronto a scrivere un piccolo libro su Cinquefrondi da portare eventualmente in dono ai compaesani emigrati. Spesso chi vive lontano soffre di una nostalgia canaglia, so di cosa parlo. Dunque un libro, con delle foto a colori, alcuni racconti di cose cittadine, sarebbe stato sicuramente gradito da quei cinquefrondesi rimasti legati alle proprie radici. Il farmacista accolse l’idea e si offrì di stampare il libro con il contributo del Comune. Io ovviamente feci il lavoro gratis.
Fui molto contento della risposta positiva del sindaco, ma non mi sarei meravigliato di un esito contrario. Sul piano politico infatti le nostre posizioni sono sempre state molto distanti e non avevo mai risparmiato al farmacista anche forti critiche per alcune sue scelte e certi suoi modi di governare, sia nel brevissimo periodo in cui fui consigliere comunale, e anche prima e dopo. I nostri rapporti personali furono sempre cordiali e corretti, pur appartenendo a due modi di vedere differenti.
Oggi posso dire che entrambi insieme a tanti altri, e senza volerlo, pagammo un prezzo all’alto tasso di ideologizzazione della politica di quegli anni. I socialisti erano molto spregiudicati nei modi di rapportarsi alle altre forze politiche, e chi non apparteneva a quel partito li soffriva e li combatteva, spesso li detestava, li considerava addirittura alla stregua di un pericolo. C’erano anche ragioni per tutto questo, naturalmente, ma spesso tuttavia anche loro avevano ragione, solo che gli avversari e i critici (e anch’io fra questi) non volevano ammetterlo. In pratica, in paese spesso si litigava semplicemente per pregiudizio. Certo, ora è facile dirlo, ma all’epoca un pò meno.
Eppure, nonostante questi precedenti, Manferoce non si fece problemi ad accogliere la proposta del volume, e mi stupì ancora di più quando lasciò interamente a me la scelta degli argomenti, delle foto e del taglio da dare a quel libro. Non volle nemmeno vedere le bozze. “Scrivi quello che vuoì” disse. Una dimostrazione di fiducia e lungimiranza inaspettata. Avrei potuto scrivere qualunque cosa in quel volume, anche delle vicende politiche locali, e i miei trascorsi su Manferoce non erano per lui incoraggianti. In realtà scrissi liberamente ciò che volevo, pensando non alle dispute politiche ma agli emigrati argentini e a ciò che forse avrebbero desiderato di trovare in una pubblicazione di quel tipo. Quando il libro uscì (era il 1996) il sindaco e l’assessore alla cultura dell’epoca, il prof. Walter Burzese, furono tra i più contenti. Il libro gli era piaciuto molto.
Un altro episodio, per me inaspettato, ebbe come protagonista il farmacista qualche tempo dopo, anzi esattamente dieci anni dopo. Devo premettere che nel 2005, dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II, con alcuni amici creammo, fra Roma e Cinquefrondi, una associazione dedita a piccole opere di assistenza e carità in favore di persone che vivono in condizioni disagiate soprattutto mamme e bambini. Invero, già da anni queste iniziative erano in atto. Ma la scomparsa del grande polacco, al quale eravamo molto legati, ci indusse a intensificare e intitolare dunque alla memoria del futuro santo i nostri gesti di carità.
Nel 2006 eravamo impegnati con un piccolo villaggio della Tanzania, nel quale mi ero imbattuto durante un viaggio di lavoro. C’erano bimbi poverissimi, molti senza famiglia, cosiddetti orfani dell’aids. Li accudiva una signora bresciana, Fausta Pina, ex insegnante che dopo la pensione si era trasferita in Africa e aiutava un missionario. Cominciò una collaborazione fra noi durata diversi anni. Nel tempo abbiamo finanziato più cose, fra cui l’acquisto di pannelli solari per l’elettricità, letti e materassi, materiale scolastico e altri beni minori.
Un giorno la signora Fausta ci chiede se possiamo procurarle medicinali di uso comune: disinfettanti, pomate cicatrizzanti, farmaci contro la malaria, vitamine, antibiotici, antipiretici e altro. Tutte cose che in Italia si acquistano in buona parte senza ricetta. Ma che negli sperduti villaggi della Tanzania sono pressochè sconosciuti e introvabili oppure molto costosi. Trovandomi a Cinquefrondi, decisi di andare dal farmacista Manferoce, confortato dalla spinta dei miei amici, “magari ci fa uno sconto e possiamo prendere un pò di cose”. Avevamo anche una piccola somma da spendere e immaginavamo, a seconda dello sconto, di fare al volo una ulteriore colletta per un bel carico.
Il laicissimo Manferoce mi fece parlare a lungo, volle sapere di quei bambini, della maestra e del resto, dopodichè prese uno scatolone e lo riempì di medicinali di ogni tipo. Disse “intanto porta via questo, poi se passi fra un paio di giorni ti dò anche delle pomate che preparo io stesso in laboratorio”. Non parlammo di soldi.
Quando tornai da lui per prendere le pomate, trovai già bell’e pronto un altro scatolone pieno, con una lista di nomi e c’era scritto l’uso che ne andava fatto. In Tanzania le medicine sarebbero state gestite da un volontario medico.
Quel giorno Manferoce era allegro e gioviale più del solito, e come sempre parlava parlava parlava, sembrava particolarmente contento, quasi euforico. Intanto cominciai a capire come si erano messe le cose: non ci sarebbe stato nulla da pagare, perché il farmacista-sindaco-politico, uno con cui mille volte avevamo polemizzato in passato, uno mai visto in una chiesa, lontanissimo dalle nostre idee e dal mondo cattolico, aveva anche un cuore grande di uomo, e non volle un centesimo per tutta quella roba.
Donò ai nostri amici tanzaniani medicinali del valore attuale forse di qualche centinaio di euro, non saprei valutare. Volli pensare che la sua contentezza e allegria di quel giorno fossero dovute al bellissimo dono che stava facendo e alla partecipazione a un’opera di bene. O forse avrà avuto altre ragioni sue. Come che sia, fu una lezione, uno di quegli episodi che scaldano il cuore e rammentano a ciascuno di noi che siamo fatti di carne e sangue e anima, e pronti a tendere la mano a chi ha bisogno. Quel dono fu l’ennesima conferma della peraltro nota generosità di Rafelino. Lui di quel gesto non parlò mai a nessuno, perciò lo faccio io ora. Il più laico dei cinquefrondesi dunque aveva sostenuto con entusiasmo la piccola opera di un gruppo di cattolici che spesso l’avevano criticato. La Provvidenza per manifestarsi segue sempre vie misteriose, che non siamo noi a decidere.
Oggi Rafelino non fa più il politico militante, l’ultima volta ci ha provato nel 2020, candidandosi alle regionali in una lista collegata alla candidata Jole Santelli di Forza Italia, che stravinse. Lui però non fu eletto e non e ne fece un problema, l’importante era esserci con le insegne del suo partito di sempre, il partito socialista, che oggi non è più quello forte di un tempo. Ma il farmacista Manferoce anche senza ruoli non ha abbandonato i suoi ideali, perchè la poliica resta sempre la sua prima passione.
Credo di aver scritto nello spazio sbagliato il mio commento, Se non e’ apparso ditemelo che lo ripeto in questo spazio Comunque vi ringrazio molto, Mi è piaciuto moltissimo
Permettetemi di fare i complimenti a Francesco Gerace per questo pezzo magnifico che io avrei titolato”Quando Cinquefrondi sognava di diventarte la grandeCittà”.Raffaele Manferoce fu il primo sognatore,ma non l’unico.Certamente le sua azioni avevano un eco maggiore per la stima che si aveva di lui nella Provincia ma anche nel Partito Socialista.Chi avesse voglia e tempo,per capire meglio gli avvenimenti che Francesco racconta,Vi invito a consultre i due miei saggi:Storia della Superstrada Ionio- Tirreno e “Cinquefrondi anni’70”.Gerace riesce a raffigurare bene quel periodo e quelle vicende che fecero la storia di Cinquefrondi.Ma una cosa ho apprezzato dell’aricolo ed è il fatto che la gente di Cinquefrondi riponesse molta fiducia nei socialisti che rappresentavano in quel tempo “la novità” ,erano dei riformatori e coloro che stavano “svecchiando la politica a Cinquefrondi”.Detto questo ci stà tutto quello che scrive Francesco, anche quando si riporta il tutto a quel periodo storico.Un appunto benevolo mi permetto di farlo.Francesco scrive che i ” socialisti erano molto spregiudicati nei modi di rapportarsi con le altre forze politiche” .Dico solo che con quel vecchio PCI stalinista e con quella DC conservatrice, che per 10 anni ,aveva occupato il potere a Cinquefrondi ,i socialisti dovevano essere più intraprendenti e lo furono e Cinquefrondi sognava in grande.Raffaele Manferoce più di altri. Aldo Polisena