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Fu sindaco per poco più di due anni, ma ebbe lo stesso il tempo di fare alcune buone cose per il paese e lasciare la sua impronta. Il prof. Antonio Macrì, Totò per gli amici e per tutti, è stato un politico cinquefrondese di lungo corso: fin da ragazzino fu militante accanito della Dc, poi dirigente di partito, consigliere comunale, assessore, infine anche sindaco.
Grande appassionato di politica nazionale e super informato sulle vicende cinquefrondesi, Macrì è anche la discrezione fatta persona. Nessuno l’hai mai sentito urlare o alzare la voce, mai avute smanie di protagonismo, e molti cinquefrondesi probabilmente non conoscevano neanche il suo volto al tempo in cui era sindaco. Il fatto è che Totò Macrì è fondamentalmente un timido ed ha sempre scelto di vivere lontano dal palcoscenico, al riparo dalle forzature pubblicitarie e fuori dalle polemiche esagerate, non gli è mai piaciuto mettersi in mostra e oggi, se fosse ancora impegnato in politica, sarebbe fortemente a disagio con la moda di farsi un selfie a ogni alito di vento.
Ha servito il suo paese e il suo partito con competenza, passione e dedizione; con dignità di antico militante ha seguito le tristi vicende che hanno prima portato allo scioglimento della Dc e alla fondazione del Partito popolare e degli altri cespugli bianchi, e poi alla confluenza di quel che restava della Balena Bianca nel Partito democratico. Operazione che non l’ha mai convinto del tutto, e dalla quale si è tenuto lontano.
Da lì al ritiro dall’impegno pubblico il passo è stato breve, ed è stato un peccato per il paese, e anche per la politica, perché una persona come lui e con le sue caratteristiche avrebbe ancora potuto dare tanto a Cinquefrondi. I suoi interventi non erano mai banali o scontati, la sua conoscenza del territorio e dei suoi problemi sempre accurata.
Macrì fu il primo sindaco del compromesso storico a Cinquefrondi alla metà degli anni ’80 e fra i primi in Italia. Quelli erano tempi di polemiche furiose e grandi divisioni a livello nazionale, soprattutto divisioni ideologiche più che pratiche, perché poi in realtà i contendenti in paese erano tutti amici fra di loro.
La Democrazia cristiana e il Partito comunista dopo essersi combattuti per decenni, a volte senza esclusione di colpi, nel 1986 diedero vita ad una amministrazione inedita per il paese: per metà mandato ci sarebbe stato un sindaco democristiano e per l’altra metà un sindaco comunista (Alfredo Roselli) e così fu.
Alla base di quell’accordo non ci fu tanto (o almeno non solo) la volontà dei due partiti di lavorare davvero assieme, ma anche il desiderio di tenere a distanza il Partito socialista del farmacista Raffaele Manferoce, con il quale entrambi faticavano ad andare d’accordo e i cui consensi in paese erano in forte crescita. Tuttavia seppur nata in questo modo un pò forzato, quella coalizione alla fine diede frutti positivi.
Totò Macrì, figlio di Vincenzo Macrì, storico casularo di viale Rimembranze, ultimo di sei figli, studiò a Polistena e poi a Vibo Valentia, divenne insegnante di laboratorio di chimica e per tutta la carriera insegnò, prima a Reggio Calabria, poi a Bagnara e infine a Roccella.
Fu eletto sindaco nel 1986, ai primi di agosto. Quello fu un anno memorabile per Cinquefrondi perché vi accaddero, fra gli altri, alcuni eventi di segno opposto rimasti nella storia cittadina. Anzitutto va detto che il paese dalla fine di gennaio non aveva più un Consiglio comunale, quello in carica si era infatti dimesso e il Comune affidato a un Commissario prefettizio.
A gennaio la politica cinquefrondese perse uno dei suoi protagonisti di primo piano, morì infatti Pippo Tropeano, importante dirigente del Partito comunista a livello regionale, molto stimato anche dagli avversari, già Consigliere comunale e anche Consigliere provinciale, una figura di assoluto rilievo nella politica di quel tempo.
L’8 di giugno si tennero le elezioni comunali, nessun partito conquistò la maggioranza assoluta dei consiglieri: la Dc ebbe 6 eletti, il Pci 5, il Psi 5, una lista civica di ex socialisti 3 e il Msi-Dn 1. In quelle elezioni la Dc e il Pci persero due consiglieri ciascuno rispetto al passato, il Msi-Dn elesse per la prima volta nella sua storia un consigliere, ma soprattutto i socialisti seppur divisi in due liste ebbero un vero e proprio boom. Il nuovo Consiglio comunale si insediò formalmente a fine mese ma senza eleggere sindaco e giunta.
Cinquefrondi sperimentava novità anche in altri ambiti: a fine giugno il compaesano don Giovanni Marra fu nominato vescovo, il primo nella storia cittadina, e mezzo paese accorse a Roma per festeggiarlo. Il 29 giugno un altro evento storico: centinaia di cinquefrondesi furono ricevuti in udienza privata dal Papa Giovanni Paolo II.
Pochi giorni dopo (il 6 luglio) Marra venne in paese e celebrò una messa in Piazza Marconi alla presenza di una grande folla. Ci fu festa per l’illustre concittadino, vari consiglieri comunali sedettero nelle prime file durante la celebrazione, ma Macrì si perse questo appuntamento, a causa di una colica renale.
Nell’occasione non potè esserci invece un momento di saluto formale dell’Amministrazione comunale al nuovo vescovo, dato che sindaco e assessori tardavano a essere eletti. Durante le vacanze i partiti finalmente trovarono un’intesa: Dc e Pci andarono a nozze, lasciando i socialisti e tutti gli altri all’opposizione. E Macrì, al suo terzo mandato di consigliere, divenne dunque sindaco. In quei giorni un grave fatto di cronaca sconvolse Cinquefrondi, il rapimento dell’avv. Michele Belziti (verrà poi liberato a novembre).
Dopo la lunga e deludente gestione commissariale, il primo provvedimento di Macrì sindaco, anzi i primi due, furono la richiesta urgente di un finanziamento di 700 milioni di lire per il potenziamento dell’acquedotto, mentre con oltre 210 milioni di fondi comunali furono acquistati immediatamente nuovi automezzi per il servizio di nettezza urbana ridotto ormai ai minimi termini. Scelte molto apprezzate: la perenne carenza d’acqua nelle case e il paese sporco necessitavano di risposte efficaci e Totò e la sua nuova giunta fecero la loro parte senza perdere tempo.
Poche settimane dopo, cioè il 14 ottobre, il sindaco Macrì fu impegnato in due eventi pubblici, abbastanza insoliti, ma entrambi molto importanti per motivi differenti.
Anzitutto nell’Aula consiliare fu finalmente possibile accogliere con la dovuta solennità il compaesano diventato vescovo, il primo e finora unico cinquefrondese chiamato a questo incarico da un Papa. Marra era stato salutato dalla comunità dei fedeli dopo la sua nomina, ne abbiamo già parlato, ma l’Autorità civile, cioè l’Amministrazione Comunale in quei giorni non era ancora nel pieno delle sue funzioni, quindi ora si rimediava a quella mancanza.
Macrì, con indosso la fascia tricolore, attese Marra all’ingresso del Municipio, fece gli onori di casa, presenti i consiglieri e tanti cittadini. Nell’Aula consiliare affollata ci fu un breve e molto emozionato discorso di saluto del sindaco, in verità poche parole di auguri e di benvenuto all’illustre ospite, e zero retorica. Poi parlarono i leader dei vari partiti, infine il sindaco donò al vescovo un Pastorale (il bastone simbolico usato dal vescovo nelle cerimonie) a nome di tutto il paese, a suggello del legame fra la natia Cinquefrondi e il nuovo collaboratore del Papa.
Già che siamo in tema, va detta qualcosa sul Pastorale donato da Macrì al vescovo: era un oggetto molto prezioso, e importante sul piano simbolico, esso infatti recava decorazioni che richiamavano la tradizione e la storia del nostro paese ed altri segni voluti da Marra come ad esempio il suo stemma episcopale.
Il presule si disse commosso per quel dono speciale e, davanti a tutti, annunciò fin da subito che al momento della sua morte quel Pastorale dovesse essere restituito al Comune di Cinquefrondi. Parole che furono accolte da applausi scroscianti e anche dagli auguri di lunga vita al religioso cinquefrondese.
Tuttavia, dopo la scomparsa di Marra, avvenuta l’11 luglio del 2018 a Roma, a ben 32 anni da quel fatidico giorno, del Pastorale che sarebbe dovuto tornare a Cinquefrondi non si è più saputo nulla. Magari pochi in paese ricordano la promessa-desiderio-testamento che il vescovo fece pubblicamente quel 14 ottobre del 1986, al fianco del sindaco e in presenza dell’intero Consiglio comunale. Da allora i consiglieri sono tutti cambiati, è vero, la memoria magari fa anche brutti scherzi. Ma c’è un video nel quale quelle parole sono rimaste incise. Forse Marra non informò i suoi familiari della decisione ? oppure il Pastorale è finito insieme con la biblioteca e altro che la famiglia del vescovo ha donato alla diocesi di Messina ? o è rimasto a Roma da qualche parte ? difficile dirlo, di sicuro quel prezioso oggetto, peraltro di grande valore storico per noi, non è mai ritornato in paese.
Il secondo importante avvenimento di quel 14 ottobre 1986 fu l’entrata in funzione ufficiale della rete di distribuzione del gas metano nelle case dei cinquefrondesi, che cominciarono a usufruire dell’energia azzurra, sperimentandone la convenienza economica e la comodità. Oggi nessuno ci fa più caso, ma fu davvero una cosa grandiosa che rivoluzionò il modo di vivere e le comodità dei cittadini.
Il progetto era partito nel 1981 per iniziativa del sindaco del tempo, Luigi Carrera, che guidava una maggioranza socialcomunista, ma in tutti i passaggi amministrativi aveva sempre ottenuto il consenso anche dell’opposizione democristiana, dunque anche quella di Macrì.
I lavori per la rete del metano erano praticamente completati al momento in cui Totò Macrì divenne sindaco, tuttavia lui ebbe il merito di chiedere un ulteriore finanziamento di 500 milioni di lire per portare le tubature fino alle zone più periferiche del paese e di nuova o prossima urbanizzazione. Fu un ottimo esempio di lungimiranza, perchè il centro abitato continuava ad espandersi, ed era dunque opportuno ampliare fin da subito la rete metanifera, evitando di doverlo fare in tempi successivi con ulteriori perdite di tempo, maggiori costi, scavi e disagi per i cittadini.
Così in quel particolarissimo 14 ottobre 1986, a distanza di pochi minuti dal benvenuto al compaesano vescovo, si svolse anche l’inaugurazione della rete del metano.
La cerimonia ufficiale per la simbolica accensione della fiammella avvenne sulla scalinata dell’allora Municipio. Una location invero assai modesta, si poteva trovare senz’altro qualcosa di meglio.
A celebrare il momento non ci furono esibizioni di piazza o bande musicali e nemmeno le claque di partito: in coerenza con il carattere del sindaco, si svolse una cerimonia sobria, di durata brevissima, alla presenza praticamente dei soli consiglieri, del vescovo e di pochi altri.
Si alternarono al microfono Macrì e il vicesindaco Roselli, che dissero la loro soddisfazione per quel grande progetto andato in porto. Poi Macrì accese simbolicamente una fiammella. Seguirono gli applausi di rito e la benedizione di mons. Marra, quindi tutti a casa.
Fu dunque una cerimonia semplice, perfino troppo per un evento di quella portata. L’unica foto finora ritrovata di quella inaugurazione (ma di sicuro ce ne saranno altre dimenticate in qualche cassetto), è stata conservata come una reliquia dall’ex Comandante dei vigili Amedeo Candido, scomparso qualche anno fa; il figlio Nunzio, dirigente della Cisl, ci ha gentilmente concesso di pubblicarla, ma nemmeno lui sa da chi l’avesse avuta il padre.
In quella cerimonia ciò che contava era la sostanza, non l’apparenza; la concretezza dei fatti, e non la propaganda, così Macrì che non amava la ribalta, lasciò che fosse la rete metanifera al centro dell’attenzione di tutti invece che sè stesso.
Lui che era il sindaco e alla preparazione di quella giornata aveva lavorato molto seriamente, fece ciò che doveva e poi preferì restare un pò defilato, limitandosi a coordinare le cose senza stare sempre in mezzo come il prezzemolo e senza clamori mediatici; anche i giornali locali non diedero notizia dei due eventi. Politico d’altri tempi e altro stile.
Per la cronaca, l’accensione tecnica vera e propria dell’impianto del metano era stata in realtà fatta un paio di giorni prima in via Cartiera, presso l’ex panificio della famiglia Borgese, che dunque fu la prima utenza a entrare in funzione a Cinquefrondi.
L’anno seguente il sindaco Macrì tagliò il nastro inaugurale della nuova Villa comunale, rifatta e abbellita dopo sostanziosi lavori, il più evidente dei quali era il lungo percorso pavimentato per chi vi si reca a passeggio, e un ampio spazio anch’esso pavimentato dove si tengono spettacoli e conferenze. Anche l’illuminazione venne ammodernata. Il progetto per il rifacimento della Villa era stato avviato un paio di anni prima dalla giunta Psi-Dc guidata dal sindaco Manferoce nella quale Macrì era stato assessore.
Anche in questo caso Totò assolse al suo compito a modo suo: la sera dell’inaugurazione pronunciò un saluto ai presenti, quindi tagliò il nastro davanti a tanta gente entusiasta, che oltretutto non vedeva l’ora di entrare in Villa per visitarla. Lui subito dopo si confuse in mezzo alla folla e infine si defilò elegantemente: era la ‘nuova’ Villa che doveva stare al centro dell’attenzione, non la persona del sindaco.
La giunta Macrì lavorò alacremente. Nella tarda primavera del 1987 bandì due importanti gare d’appalto, una per la revisione generale e l’ampliamento della illuminazione pubblica cittadina per 200 milioni di spesa, l’altra di 320 milioni per rispristinare e ampliare la strada di collegamento verso le contrade Corvo e Finocchiara.
In poco più di due anni di mandato non si possono fare molte cose, ma Macrì fece la sua parte, mantenendo sempre ottimi rapporti con il suo vice Roselli, che poi gli succedette e con il quale continuò a collaborare nella seconda parte del mandato.
Una caratteristica di Macrì è che era un democristiano di fidatissima appartenenza, ma al tempo stesso incapace di litigare davvero con gli avversari. E infatti riuscì a mantenere sempre ottimi rapporti con tutti: fu in coalizione con i socialisti, all’epoca molto movimentisti e imprevedibili, e anche con i comunisti che pure erano ideologicamente molto lontani dalle sue posizioni; fu avversario di entrambi, durante le giunte socialcomuniste, ma il suo modo di fare opposizione non andò mai fuori strada, e non dovette faticare per questo: era il suo stesso carattere che ne faceva un dialogante e smussatore di angoli, e mai un kamikaze.
Quando Totò Macrì si arrabbiava molto non urlava, non insultava e non aggrediva verbalmente, ma diventava rosso in viso, quasi paonazzo, pur mantenendo il suo tono di voce basso e monocorde; ecco quel rossore, assai evidente in un corpo rotondo e appesantito da qualche kg di troppo, era segno di forte contrasto, ma poi finiva lì.
Nella Dc Toto Macrì percorse tutte le tappe: era poco più che un ragazzo quando con la sua fiat Bianchina girava per le strade di Cinquefrondi con l’altoparlante, faceva propaganda in occasione delle votazioni.
Negli anni Settanta ogni partito mandava gli attivisti in giro con le macchine, i loro megafoni assordavano le persone invitando a votare per questo o per quello. Era proverbiale la frase che Turi Ascone declamava a sostegno dei comunisti, uno slogan: “cittadini qui vi parla la voce del partito del lavoro”. Totò con la sua minuscola Bianchina di colore bianco, nella quale riusciva a malapena ad entrarci con i suoi amici, era il portavoce ufficiale della Dc; in seguito quella piccola auto fu impiegata in molte campagne elettorali, anche da altri attivisti, era diventata un segno di riconoscimento della propaganda democristiana.
Nel suo partito Macrì fu un alleato inossidabile dell’allora leader avv. Francesco Raschellà, già sindaco alla fine degli anni Sessanta, e fu proprio Raschellà che in occasione della amministrazione-staffetta con i comunisti lo sostenne molto per la carica di sindaco. Molti anni dopo il vecchio leone democristiano in un’intervista ebbe parole di grande apprezzamento per il suo giovane compagno di partito e per il suo operato alla guida del paese.
Con Totò era impossibile litigare, ed era invece molto piacevole discutere, perché della politica nazionale e del paese sapeva molto, conosceva bene i suoi concittadini, di moltissimi sapeva vita morte e miracoli e a volte anche segreti, ma non era uomo da pettegolezzi, semplicemente si occupava dei problemi della gente. Come facesse a sapere così tante cose è un mistero, perché lui conduceva una vita molto ritirata, suddivisa fra il lavoro a scuola, la politica al Comune e la passeggiata serale in piazza sempre con gli stessi amici, soprattutto Rodolfo Panuccio, Totò Pugliese e Raffaele Galluzzo. Quest’ultimo, per decenni segretario comunale di Polistena, era stato colui che l’aveva trascinato da giovanissimo nella Dc.
Niente feste, niente viaggi, niente cene, Macrì era un uomo abitudinario che non aveva messo su famiglia ma aveva letteralmente sposato la politica, quella vera, svolta come un servizio; si documentava molto, conosceva leggi e regolamenti, sapeva muoversi nei meandri scivolosi della burocrazia reggina, soprattutto in quelli dell’allora Coreco, il temutissimo comitato di controllo che vagliava ogni delibera comunale cercando il pelo nell’uovo per poterla bocciare; sapeva muoversi bene anche negli assessorati regionali dove si recava a perorare le pratiche di finanziamenti per il Comune. In questo ruolo era una specie di gemello di un altro cinquefrondese fuoriclasse della burocrazia, Rodolfo Panuccio, anche lui dirigente, consigliere e assessore comunale Dc di grande esperienza.
I due erano amicissimi oltre che compagni di partito, e spesso insieme affrontavano beghe amministrative nelle quali nessun uomo normale avrebbe voluto mai mettere mano, per quanto erano complesse. Rodolfo finchè è stato in vita ha continuato a frequentare Macrì anche quando entrambi si erano ormai ritirati dalla vita pubblica.
Totò era e sarebbe ancora una grande risorsa per la politica e la pubblica amministrazione, se solo volesse o potesse farlo o se qualcuno volesse coinvolgerlo, valorizzando la sua competenza. Lui da molti anni si è ritirato da tutto e non esce quasi più di casa, tuttavia –come ben sanno le persone che vanno a trovarlo- continua ad essere molto informato sulla politica nazionale e locale, sulle leggi e su tutto quel che deve sapere una persona innamorata del ruolo di amministratore, inteso nel senso più alto e nobile di questa parola, cioè di chi è al servizio dei suoi cittadini e non del suo ego smisurato.
Ha smesso da lunghi anni le sue consuete passeggiate serali in piazza, ha chiuso con la politica attiva, ed ha voltato pagina, d’altra parte la Dc è stata sciolta da un pezzo e lui non si è mai ritrovato nel Pd dove pure confluirono, almeno all’inizio, molti suoi compagni, e nemmeno negli altri partiti che hanno preso il sopravvento.
A lungo, anche negli anni ruggenti della politica, aiutò il padre Vincenzo, ormai anziano, nella gestione del negozio di formaggi con annessa cantina che per anni è stata punto di riferimento di tanti clienti e avventori. Il vecchio casularo, che proveniva dalla jonica, aveva una straordinaria capacità di scovare formaggi speciali nelle sperdute masserie della Sicilia e del crotonese, aveva grande talento in questo e anche molta passione oltre a un carattere volitivo e talvolta brusco; in tanti andavano a comprare da lui, sapendo di trovare sempre ottimi latticini, e non a caso il vecchio Vincenzo era per tutti il ‘casularo’ per antonomasia.
Totò subentrò nella gestione del negozio dopo la morte del padre, ma fu una cosa breve, più per rispetto della tradizione familiare che altro; sul finire degli anni Novanta lo storico locale del casularo Macrì chiuse definitivamente.
Il futuro sindaco di Cinquefrondi raramente lasciava il paese, pochi i viaggi, sempre mirati, oltre alle missioni istituzionali; una sua esperienza lunga lontano da Cinquefrondi avvenne nel 1970 per il servizio militare, durante il quale divenne un esperto di trasmissioni radio, cosa che pochi sanno, e finì a fare il marconista in una caserma degli Alpini ad Aosta.
Oggi, il prof. Macrì ex professore di laboratorio di chimica, per lunghi anni attivista della Dc, consigliere comunale, assessore e sindaco di Cinquefrondi, è un riservato e tranquillo pensionato di 75 anni, con la salute un pò zoppicante, che trascorre le sue giornate dedito alle letture e alle chiacchierate di politica con gli amici che vanno a trovarlo, memore dei bei tempi che furono, quando gli ideali e la voglia di costruire il futuro del nostro paese animavano le sue giornate. E probabilmente, conoscendolo, non sarà contento che la sua storia sia stata tirata in mezzo su questo sito. Ma tant’è.
Foto Archivio Storico Tropeano, Aldo Bonini e Nunzio Candido
Entro in punta di piedi a rendere pubblico il mio ricordo verso la figura di Totò Macrì. Per la scelta da lui fatta di vivere – da tantissimi anni ormai – nella sua dimora senza partecipare più alla vita pubblica e sociale del paese, senza quelle relazioni che solo la presenza fisica rende reali, mi sembra di violare uno spazio volutamente ristretto. Voglio però entrarci, ma solo per esprimere parole di unione e di rispetto. In occasione di un mio commento al libro “Ho scritto Tano sulla sabbia” a cura della nipote di Totò Macrì, Loredana Mazzone, figlia di sua sorella Rita, ebbi ad esprimere il mio ricordo per le bellissime figure di Vicenzu ‘u casolaru” e sua moglie Marianna, genitori di Totò. Confermo quanto scrissi e rafforzo i sentimenti ed il ricordo con la convinzione che a fare di Totò Macrì un amministratore integerrimo sia stato anzitutto l’esempio dei suoi genitori. Non voglio entrare nel merito delle vicende politiche paesane di oltre un trentennio addietro, nelle quali ebbi una brevissima presenza, nè di allargarle, con il mio “commento”, a quelle nazionali. Di certi uomini, di ancoraggi ideali, di comportamenti sobri, di competenze, non v’è più nulla. Oserei dire, infine, che alla persona di Totò Macri sindaco, ma anche alle figure di tutti gli altri sindaci del nostro paese un merito – anzi un valore – va riconosciuto: la moralità politica e la profonda onestà. Nessun sindaco della nostra Cinquefrondi è mai stato accusato di ladronerie e malversazioni e questo è un vanto per la comunità cinquefrondese. Mi verrebbe da pensare, che al di là di ogni pregiudizio ideologico e storico-politico, l’ispiratore “ante litteram” di questo valore politico e morale sia stato chi, 90 anni addietro dedicò al paese tutto il suo impegno e il suo amore per renderlo punto di riferimento della Piana di Gioia Tauro: il podestà Francesco Della Scala. Quell’amore, quella dedizione, quell’onestà, quella laboriosità sono stati un esempio che tutti i sindaci del paese, di qualsiasi idea, colore, coalizione – forse inconsciamente- hanno interpretato appieno. Non vedo Totò Macrì da quasi vent’anni, quasi vivessimo in continenti diversi, ma se mi dovesse appalesare- come vorrà lui- il piacere di incontrarmi, mi pregerò di andare a trovarlo.
Mimì Giordano