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Fra pochi giorni, esattamente il 7 settembre, saranno 60 anni dalla morte di Pasquale Creazzo. Il nostro illustre concittadino, letterato e pittore, attivista politico, appassionato di storia e cultura locale era nato l’8 marzo del 1875, perciò aveva 78 anni quando lasciò questo mondo.
Per i cinquefrondesi Pasquale Creazzo, o don Pasquale come dicono ancora alcuni anziani, è un monumento. Oltre a essere stato un brillante poeta dialettale, pittore e archeologo dilettante, fu soprattutto un attivista politico, fondatore della prima sezione socialista della Piana di Gioia Tauro e poi militante del partito comunista, che però poi abbandonò. Nel tempo si è guadagnato la stima e il rispetto anche di molti fra coloro che invece ebbero idee politiche diverse o che con lui non andarono d’accordo, ma ne hanno sempre riconosciuto e apprezzata l’intelligenza, la preparazione e la coerenza. A Creazzo infatti non si può non riconoscere serietà, passione per le cose che ha fatto e per gli ideali ai quali ha aderito, insieme a un grandissimo senso della libertà che lo portò a compiere scelte e assumere posizioni a volte davvero inaspettate e imprevedibili, come vedremo.
Per ricordare don Pasquale, e per farlo conoscere ai giovani che di lui sanno solo il nome, pubblichiamo a partire da oggi una serie di articoli. Cominciamo con uno scritto del prof. Bruno Demasi, che molti cinquefrondesi conoscono anche sui social, appassionato studioso e conoscitore della nostra terra. Demasi pubblicò qualche anno fa sul blog che dirige da Oppido dove risiede (https://hagiaagathe.blogspot.com/) un saggio molto interessante nel quale si ricostruisce fin nei minimi dettagli la storia del nostro concittadino e lo inquadra nel contesto sociale e politico del tempo in cui visse. Il prof. Demasi ci ha consentito di riprodurre integralmente il suo articolo per i lettori di ‘Cinquefrondi nel tempo’ e di questo lo ringraziamo.
di Bruno Demasi
Nu iornu u Patri Eternu si levau
si fici l’occhi chini di sputazza
e ch’i mani nta buggia s’avviau
mi vidi chi si dici supra a’ chiazza,
ma si fici nu mari di fururi
quando vitti carompula a culuri…
Così scriveva nel maggio del 1898 lo studente/poeta Vincenzo de Angelis ristretto in carcere dopo lo scioglimento della prima sezione socialista nata appena un anno prima sulla costa ionica della provincia reggina e di cui egli era stato uno dei fondatori. Al fine di divulgare le idee socialiste a Brancaleone, da universitario, tra la fine del 1896 e l’inizio del 1897 aveva fondato infatti il circolo socialista detto “ Zappa e Martello”, che successivamente avrebbe preso il nome di “Emancipazione e Lavoro”. La prima sezione socialista di Brancaleone venne appunto costituita all’interno del predetto circolo, che l’anno successivo, in data 18 maggio 1898, venne però sciolto con decreto del Prefetto di Reggio Calabria, in quanto considerato sovversivo. I 90 aderenti al circolo vennero identificati e De Angelis ed altri 21 soci,vennero arrestati.
Sul versante tirrenico reggino le idee socialiste invece attecchirono con relativo ritardo. Rispetto ai fatti di Brancaleone occorse infatti ancora un buon decennio perchè nascesse a cavallo tra il 1909 e il 1910 a Cinquefrondi ad opera di un altro giovane del luogo, Pasquale Creazzo, il primo circolo di lavoratori, ma è impressionante l’analogia tra i fatti di Cinquefrondi e quelli di Brancaleone, tra l’impegno politico e sociale di De Angelis e quello di Pasquale Creazzo, entrambi colti e impegnati, entrambi politici fino al midollo, entrambi amanti e praticanti della poesia contadina e vernacola.
L’incredibile vita di Pasquale Creazzo merita sicuramente di essere ricordata con ammirazione come un unicum eroico in un contesto civile e sociale praticamente inesistente, con le terre quasi compeletamente in mano a pochissimi piccoli latifondisti gretti e meschini, una classe operaia sfilacciata e appena accennata da alcuni artigiani che facevano la fame senza alcun orario di lavoro.
Era nato a Cinquefrondi l’8 marzo 1875 da un segretario comunale e da Giuseppina Grande, discendente da una ricca famiglia di Torre Ruggero. Il padre morì giovanissimo lasciandolo orfano in tenera età insieme ad altri tre fratelli, nessuno dei quali ebbe la possibilità di proseguire gli studi. Il modestissimo patrimonio familiare fu consumato infatti molto presto tanto che il Creazzo, ancora ragazzo, dovette andare in cerca di lavoro e fu assunto in una segheria per abbozzi di pipe di radica di erica, legname nascosto e prezioso di cui abbondavano e abbondano ancora le balze dell’Aspromonte. Era però un ingegno molto versatile, di intelligenza molto viva e nel pochissimo tempo libero si dedicava allo studio, alla poesia e alla pittura. Fu il periodo formativo in cui ebbe i primi contatti con gli operai che segavano il durissimo legno di erica che di tanto in tanto venivano dalla Toscana e insieme col mestiere iniziavano a propagare le teorie del nascente socialismo.
La condizione servile e di totale sfruttamento di contadini e operai nella sua poverissima Cinquefrondi alimentarono in lui sin da giovane la rapida maturazione di un ardente credo politico che lo fece diventare presto un tenace sostenitore della causa dei poveri e degli ultimi. Divenne poi dal 1920 un irriducibile antifascista (resta famoso il rifiuto che oppose al saluto del gagliardetto durante una manifestazione fascista di piazza), tanto che fu aspramente perseguitato e più volte risatretto in carcere.
Nel 1894, l’anno di un terribile terremoto che mette a dura prova la Piana di Gioia Tauro già prostrata dalla fame e dall’analfabetismo, partecipa ai moti insurrezionali bakuniani, a Reggio Calabria, contemporaneamente a quelli svoltisi a Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo e subisce il primo di una serie di arresti. L’anno successivo insieme con una decina di compagni conosciuti nel capoluogo dà vita al nucleo originario della prima Sezione Socialista di Reggio Calabria.
All’alba del nuovo secolo, in seguito all’uccisione a Monza del Re Umberto I per mano dell’anarchico Bresci, a Cinquefrondi appare uno scritto murale così concepito: “Lutto Nazionale per causa di un fesso qualunque”. Vengono subito accusati e processati per apologia al regicidio i «sovversivi» fratelli Creazzo i quali, per sottrarsi all’arresto, fuggono attraverso i tetti delle case. Il principale accusato, il giovane fratello minore Francesco, ripara in America dove perisce in un tragico incidente ferroviario. Si saprà in seguito che lui stesso era stato l’autore dell’ambiguo scritto murale, con l’intenzione chiarissima di biasimo nei riguardi dello sparatore Bresci e non del Re ucciso.
Tre anni dopo Pasquale si sposa con Alfonsina Avenosi che gli darà ben nove figli: Federico, Garibaldi, Libero, Alba, Bixio, Aurora, Adone Spartaco, Vera Era Rossa e Gloria. E’ un periodo in cui lavora intensamente per l’organizzazione e la formazione delle coscienze socialiste nella piana di Gioia Tauro e delle sezioni, ma nel 1906 per bisogno e per cambiare probabilmente aria è costretto a emigrare in America e capita nelle foreste ancora vergini della Carolina dove si lavorava per la costruzione di un tronco ferroviario. Qui denunzia, su un giornale del luogo, le malversazioni, le intimidazioni e i delitti della Società costruttrice: ciò provoca un allarme e un’inchiesta delle autorità governative, quindi per sfuggire al grave pericolo che lo minacciava e per le insistenze della moglie decide di rientrare in Italia. E dopo appena qualche anno dal suo rientro in Italia. esattamente nell’inverno tra il 1909 e il 1910 organizza a Cinquefrondi un numeroso circolo operaio dal quale nascerà la prima sezione socialista della Piana. Consideriamo la difficoltà del tempo, la mancanza assoluta di veicolazione delle idee all’interno dei poverissimi paesi della Piana, l’azione repressiva delle forze dell’ordine e dei prefetti dell’epoca, la carenza assoluta di mezzi. Eppure la sezione crebbe e si impose quasi subito come modello per tutto il mondo contadino, artigiano e operaio dell’intero territorio, tanto che quando nel 1911 il Creazzo iniziò una dura propaganda contro la guerra in genere, ma soprattutto contro l’impresa coloniale in Tripolitania, molte delle sue idee furono prese in prestito in vari comizi tenuti nei centri più dinamici della Piana. E il suo duetto, “La zappa e la spada”, qui riproposto anche nella versione canora di Pasquale Quaranta (clicca qui https://www.youtube.com/watch?v=sC_2H-5I2FI) cominciò presto ad essere recitato a memoria in varie manifestazioni di piazza contro la guerra.
Nc’era ‘na zappa mpenduta a ‘nu muru
di ‘nu catòju niru affumbicàtu,
china di ruggia, queta, ntra lu scuru,
cu na lucenti sciàbula di latu.
La sciàbula nci dissi: « O zappa strutta,
vattindi, esci di ddocu pe favùri:
non è lu postu tój, tamàrra brutta
vicin’a mmìa chi lustru di sbrenduri.
Non bi’ ca feti a pesta di fumèri,
di terra e porcaria chi sai ‘nchiappari?
Lordazza, esci di ddocu ca non meri
di latu a nu strumentu militari!…
Eu vegnu di la guerra e cu l’onùri
di prìncipi, surdati e cavaleri,
ca fici valentìzzi a tutti l’uri,
mpilandu musurmàni e turchi veri.
E mi portaru ccà pe ‘nu ricordu
di groglia e di curaggiu militari,
e non vurrìa daveru mu m’allòrdu
mpenduta cu nu ferru di zappàri!
A tìa lu to patrùni ti lassàu
pe quantu si sdegnùsa, zappa brutta!
ma quando nd’appi a mmia si ricriàu,
se bòi pe mmu la sai la storia tutta.
E… ndi minàmmu botti di crepàri…
ndi ficimu jochétti ntra la guerra…
tagghjandu a MoriMamma e und’esci pari,
e non c’importa mu ca dormi ‘n terra!
Ca mó, cu vid’a mmìa si l’arricorda
li valentizzi sój, la sój persùna…
m’a ttìa, cu vid’a ttìa, zappùna lorda,
vicin’a mmìa pi scornu si mpuzzuna! »
La zappa cchjù non potti risístiri,
e nc’issi: « Veramenti si mprisùsa…
m’a mmìa non mi cumbínci lu to diri,
ca si putenti, guappa e valurùsa.
Lu vì, pi ttìa ‘sta casa è ruvinàta;
spirtu di nfernu, facci di guccèri,
nfama, spaccùna, brutta sbuccazzàta,
vattìndi tu di ccà, ca tu non meri.
Tu feti di peccati di ‘sassìna,
tu lustri di dolùri, chianti e guaj,
di sangu tu si lorda china china,
e tu smerdiji a mmìa pecchì zappài?
Undi t’azzìppi tu lu beni peri;
peri la gioventù e nun c’è chi fari,
ma und’eu zappài la terra cu fumèri
nzumàu lu megghiu cjuri di mangiari.
Pe mmìa si fa lu ‘ranu pe farina
e di la terra tutti li prodùtti;
senza di mìa non gugghij la cucina
e mancu vinu trasi ntra la gutti.
E nd’hai l’ardìri pe mmu mi mpuzzùni
ca lu patrùni meu m’abbandunàu;
ma quandu mi mpendìu cu lu spuntùni
sacciu io sula chianti chi jettàu!
Mu cangi’ammìa pe ttia, mu va a la guerra,
‘na leggi pripotènti l’obbrigàu,
se nno non jia m’arròbba strana terra,
pe cui la morti barbara trovàu!
E mó, guarda ‘sta vecchia nduluràta
chi lu figghiòlu ciangi notti e jornu;
guardala com’è affrìtta, scunsulàta,
ca ciangi puru tu se senti scornu.
Moríu, ntra ‘stu catóju l’abbundanza,
‘nu mantu di dulùri l’accuppàu!
finíu cu chianti e luttu la speranza,
chi mmu t’allàmpi tu e cu ti purtàu!
Scappa, fuji di ccà birbant’azzàru,
ca nun c’è mostru bruttu comu a ttìa,
va fa pe mmu ti ‘mpasta lu furgiàru,
pe mmu ti faci zappa comu mia! »
ll Partito Socialista si incrementò rapidamente, tanto che appena dopo due anni dalla fondazione della sezione di Cinquefrondi Creazzo riesce con l’aiuto di Nicola Mancuso, Carlo Mileto, Francesco Mercuri ( poi Sindaco socialista di Giffone) e di molti altri a costituire un comitato per la campagna elettorale che porterà all’elezione del socialista Francesco Arcà deputato al Parlamento avendo la meglio sul potentissimo giolittiano Giovanni Alessi ,che rimane trombato pur essendo abbondantemente appoggiato dagli agrari e dalla mafia dei campieri e delle guardianìe che imperversava in tutte le campagne della Piana.
La campagna elettorale fu veramente combattutissima. quasi sanguinosa, ma servì a diffondere in tutte le piazze idee
ed entusiasmi nuovi che il popolo non aveva mai nutrito. Cominciarono a girare foglietti, poesie, canti e ogni domenica tutte le piazze del Collegio erano affollate da molti comizi fortemente partecipati dalla gente, persino da alcune donne coraggiose
che per la prima volta riuscivano a organizzare squadre di raccoglitrici di olive che andavano ad ascoltare i comizi da lontano.
Era sicuramente un trascinatore con la sua dialettica suadente e pacata, ma decisa e nella vita pratica gli erano facili e congeniali tutte le iniziative che intraprendeva. Fu apprezzato collaboratore e corrispondente di molti giornali e riviste; quali l’Avanti, il Corriere della Calabria, La Fiaccola, Calabria Rossa, La Luce, Nosside, Calabria Avanti, Calabria Letteraria. Scrisse moltissimo, raccogliendo egli stesso le sue cose in 5 volumi manoscritti e in parecchi fascicoli di appunti e ricerche storiche, archeologiche, numismatiche, etniche, discorsi e commemorazioni varie.
Molte sue poesie furono pubblicate da varie riviste e giornali del tempo. Altre, compreso il volume di poesie dialettali dell’Abate Conia di Galatro, le pubblicò a sue spese. E ciò, se ve ne fosse ancora bisogno, dimostra il suo grande coraggio, ma soprattutto il suo grande valore intellettuale oltre che ideologico e civile.
Tanto versato nella politica, nelle arti e nello studio, non era un uomo d’affari. Aprì una delle prime sale cinematografiche una fabbrica di acque gassate e bibite, una oreficeria e orologeria, una segheria per abbozzi di pipe di erica ma, vuoi per la scarsissima circolazione di denaro legata ai tempi, vuoi per la sua generosità senza limite, ne usciva sempre in perdita, oppresso dai creditori e dagli opportunisti di ogni risma che non mancano mai:
Nci sù l’opportunisti pé natura,
Cuntenti tutti senza vucch’amàra;
Tutti li leggi accettan’a bon’ura…
Di cìnnari o farìna, sù crisàra.
Tra la gnuranza e la vigliaccaria
Si mbàrdanu e nun sannu mai pecchì;
Di capizza tiràti a la campìa,
Abbàscianu la testa e dinnu: sì…
Ma poi nci sù l’opportunisti veri
Chi cangianu culuri pé dinàri:
Di chisti (malanova mu li peri)
Cui noi li ncàppa…s’havi di guardàri.
Pé cchisti, non c’è credu e nnò partìtu,
Si jéttanu, undi nce di profittàri:
Tràdinu a Crìstu nChiesa e ad ogni sìtu
Jocandulu cù carti di pezzari!…
Di li difetti, ncé cù l’havi tutti,
E chisti sù li grandi farabutti!,
E se nsiamài su menzi ntilligenti,
Sù li cchiù perniciùsi dilinquenti!…
Dio mu ndi scanza, di sti mulinari!…
Se Cristu ncruci tornarìa appilàri,
Cù Juda accordarianu lu partìtu,
E cù la spònza nci darrianu acìtu.. (Li veri opportunisti).
Proprio per la miseria subito dopo lo scoppio della Grande Guerra è costretto a recarsi al Nord. Parte, a capo di una squadra di operai per il Friuli e precisamente per Cormons e Corno di Rosazzo dove fervono i lavori necessari per la difesa delle linee italiane nelle immediate retrovie del fronte. Furono anni di durissimo lavoro che tuttavia consentirono a Creazzo e a chi era con lui di continuare a interiorizzare il credo socialista. E quando, nel 1921, dopo la scissione avvenuta al congresso socialista di Livorno, aderisce al Partito Comunista, egli si schiera apertamente contro i Riformisti, rei, a parer suo, di aver annacquato il Socialismo con mille compromessi.
All’avvento del Fascismo, continua la sua lotta clandestina, mantenendo collegamenti epistolari segretissimi con i compagni in Italia e all’estero. Per tutto il Ventennio non riuscirono a piegarlo i fermi polizieschi, gli arresti, le intimidazioni e gli allettamenti a cambiare stato e posizione economica che si susseguivano in modo impressionante. Era un uomo che non si faceva intimidire da nulla e che non scendeva a patti con la propria coscienza civile neanche se costretto alla fame. Dopo la Liberazione riuscì a riprendere intensamente la riorganizzazione della lotta, formando numerose sezioni comuniste uscite dalla clandestinità, ma presto entrò in polemica con gli stessi comunisti e si ritirò dal Partito, continuando, da indipendente, la lotta antifascista e per il socialismo.
Concluse la sua eroica e singolare esistenza a Cinquefrondi il 7 settembre 1963 con grandissimo rimpianto di quanti lo avevano conosciuto, ma soprattutto dei lavoratori e degli oppressi di tutta la Piana. La sua bara fu avvolta nella bandiera rossa con falce e martello e la banda musicale intonò l’Inno dei Lavoratori e l’Internazionale. Nel 1979, su mia insistenza, l’editore Barbaro di Oppido Mamertina pubblicò la prima e unica silloge delle poesie di questo grande cantore della civiltà contadina della Piana con il titolo “Poesie dialettali” (curata da Carlo Carlino e Pino Bellocco, entrambi studiosi cinquefrondesi, ndr).
E quantu, quantu guài ntra sta mè vita!
Diquand’escia la raku peniàta!
Fui condannàtu comu la munìta:
Posa no ndàppi mai, mija jornàta!
Jocata storta fu la mè partita,
Di chija ceca Sorti, disgraziata…
Orfanu, straniàtu, senza mìta,
Mbattìa sempri sdarrùpi a la mè strata!
Cumu chiji a lu limbi cundannàtu,
Non trovu jazzu mai ntra nnùiu sìtu…
Di paci o di riposu sù assitàtu.
L’urtimi jorna, armènu, ndisturbàtu,
Vorrìa nu passu mpàci di Rimitu
(Arzura)
Bellissimo e completissimo racconto della storia di vita di un uomo importante per la nostra comunità di Cinquefrondi, indipendentemente dalle sue visioni politiche, caro Francesco, che tu hai affrontato oggi con la tua solita,pignoleria ( in senso buono), in materia di precisione!!!
Entro in punta di piedi e con il massimo rispetto, nel tuo dire, Francesco, solo per aggiungere qualche particolare, che molto probabilmente, tu non puoi sapere…..La foto inserita, riguarda la Fabbrica di Abbozzi per Pipe in Radica (di cui i pianori da Petricciana in su erano pieni e costituiva la materia prima per produrre le pipe, poi finite di scolpire a mano), apparteneva a Don Mimì Vinci, di Melito Porto Salvo, zio materno di mio padre, il Finanziere di Mare Stefano Romeo,che all’epoca faceva servizio sulle navi che circumnavigavano le coste italiane ed estere del Mar Mediterraneo, cercando di assicurare alla giustizia italiana i contrabbandieri di sigarette….I Creazzo, tutti, andarono a lavorare in detta fabbrica, sita vicino alla loro casa…nacque una bella e sincera amicizia tra le due famiglie (ed anche un comparato)
.mio zio Mimì si era portato moglie, figli piccoli, nipoti ed operai e così lavorarono x tutto il periodo che esistette il filone della Radica in montagna…in questo periodo il nipote Finanziere conobbe mia madre e si fidanzarono… Dopo una decina d’anni, il signor Don Mimì Vinci si ritirò a Melito Porto Salvo,lasciando la fabbrica al Compare Don Pasqualino Creazzo, con cui continuarono a corrispondersi con le lettere e l’amicizia. Bixio, il poeta, intanto, si era innamorato di una cugina di mio padre, e la riempiva di poesie, ma lei non corrispose a tale sentimento…Le due famiglie si sono però sempre trattate bene e rispettate!!!
Credo sia doveroso rilevare che Pasquale Creazzo, nella sua opposizione al regime, non era solo né isolato. Quando si poté finalmente votare, ci fu, prima, la vittoria della Repubblica al referendum, caso unico in una zona ancora ostaggio dei latifondisti, e poi, il 18 aprile 48, a Cinquefrondi, il Fronte Popolare raccolse il 55% dei voti, malgrado la presenza sulla scheda elettorale di altre 12 liste. Intorno a Pasquale Creazzo c’era una formidabile rete di dissenso al fascismo che coinvolgeva la maggior parte della popolazione. Una miriade di botteghe artigiane, scuole di vita e di valori; moltissimi militanti soprattutto anarchici e socialisti; dozzine di confinati politici ( alcuni illustri, come il primo sindaco di Padova dopo la Liberazione) in gran parte comunisti; molti emigrati di ritorno che si erano politicizzati all’estero ed anche qualche giovane professionista, bersaglio preferito di iracondi e un po’ volgari libelli che Della Scala stampava addirittura in tipografia.
A Roma, nel Casellario Nazionale fascista, erano schedati come pericolosi sovversivi almeno 20 cittadini di Cinquefrondi, fra cui persone mitissime come mastro Mico di Ciccia ( che ricordo nella mia infanzia) e addirittura il parroco di Cinquefrondi, Don Luigi Varamo.
Certamente la meglio gioventù, in quegli anni, non amava né fez né orbace e Pasqualino Creazzo ne sapeva ben rappresentare l’essenza democratica e antifascista.
Desidero osservare qualcosa su quanto ha scritto Francesco Tropeano in merito all’articolo di Francesco Gerace, conferendo altre altre notizie sulla figura di Pasquale Creazzo e sul contesto storico-politico dell’epoca.
Della Scala è morto nel 1933. In paese, in quegli anni c’erano tanti oppositori al regime? Agivano, facevano propaganda, supportavano Pasquale Creazzo, fino al punto di provocare la reazione del podestà che stampava manifesti contro qualcuno di essi?
Non si capisce bene il quadro cronologico di tali contesti che Francesco Tropeano rappresenta. Non risulta che nei primi anni ’30 ci fosse in paese un movimento di opposizione al regime che avesse tanto seguito. Forse è quello che Tropeano descrive attorno a Creazzo,fatto di artigiani, anarchici, socialisti, ma questo avvenne probabilmente dopo il 25 luglio 1943, con la caduta del regime. Domando a Tropeano: i 20 pericolosi cinquefrondesi schedati come sovversivi, in quale carcere furono rinchiusi, e quando?
In termini più nazionali e storici, Tropeano saprà che furono tanti i comunisti italiani che scelsero di vivere in Russia, e numerosi fra questi furono uccisi o mandati nei lager della Siberia per volere di Stalin. E furono in numero maggiore di quelli che, in tempo di pace, furono uccisi o confinati ad opera del regime fascista. Giuliano Gramsci, figlio di Antonio, affermò che suo padre se non fosse morto in Italia, sarebbe morto per mano di Stalin in Russia. E in Italia, Antonio Gramsci, scarcerato per le sue condizioni gravi di salute, fu degente fino alla morte nella migliore clinica romana, la Quisisana, dove gli consentivano di vedere chi volesse e leggere cosa volesse. Tropeano saprà che i fratelli Rosselli furono confinati a Lipari, dove ogni giorno andavano a pranzare nel miglior ristorante del luogo, il Filippino, ancora esistente. Parliamo degli anni ’30,prima dello scoppio della guerra. Certamente, il comunismo che Creazzo propugnava per l’Italia, oggi è morto per sua stessa implosione,dopo milioni e milioni di morti lasciati nel mondo, in tempo di pace.
Una sola parola per comprendere cosa sia stato il comunismo: HOLODOMOR.
Cinque milioni di ucraini, nei primi anni ’30 fatti morire per carestia, per fame,provocando fenomeni di cannibalismo. Tutto per la infame appropriazione della produzione del grano da parte dello Stato comunista che lasciò nella fame tutti i Kulaki ( piccoli agricoltori) e portò alla morte,appunto, cinque milioni di ucraini. A quel comunismo il beneficio delle buone intenzioni bisogna pur riconoscerlo: i suoi massacri, i suoi genocidi erano ispirati da valori umanitari,pacifisti(!) Quella immensa illusione che è stato il bolscevismo, con tutta la sua barbarie l’abbiamo scansata, in Italia. E non grazie a Pasquale Creazzo.
Carissimo Mimì, apprezzo molto la tua buona fede e la tua mirabile coerenza : mi raccontavi queste storie già negli anni 70. Intanto però sono stati desecretati gli archivi, per quel periodo, sia italiani che americani e spulciandoli mi sono fatto l’idea che gli eredi del fascismo da servi dei tedeschi sono presto diventati servi degli americani (ogni riferimento all’attualità è puramente voluto) così come, dopo qualche decennio, gli eredi del partito comunista da servi dei russi sono anch’essi divenuti servi degli americani.
Ogni posizione terza di sovranità europea, a dx come a sx, è stata annientata.
Detto questo torniamo a Cinquefrondi. Quanto ho scritto, comprese le virgole, sono disposto a documentarlo in pubblico, se si presenterà l’occasione, nel corso di convegni o dibattiti.
Ai primi del Novecento ci fu una grande fuga dei giovani dalle campagne. Molti emigrarono, molti altri invece frequentarono come apprendisti le botteghe artigiane e dopo alcuni anni diventarono essi stessi artigiani ed alcuni anche commercianti ( famosi coriari ). Già nei primi anni 20 il tessuto sociale era profondamente diverso rispetto ai borghi vicini. Questo tessuto sociale, libero della schiavitù agraria medioevale imposta dai latifondisti ( duchi, marchesi, conti ecc..), viveva il fascismo come un corpo estraneo e se non lo combatteva in maniera eclatante, ne derideva gli usi e costumi nel chiuso delle botteghe, affollate da decine di apprendisti.
Su 20 cittadini di Cinquefrondi schedati dall’ Ovra oltre la metà erano artigiani. Per ognuno di loro, nell’ archivio ex segreto, c’è un fascicolo contenente una scheda biografica “lombrosiana” che ne accentua eventuali difetti fisici ed una serie di rapporti polizieschi cronologici che riportano spostamenti, frequentazioni, conversazioni pubbliche o dicerie suggerite dai prezzolati informatori. Quindi erano pedinati, monitorati, spiati e qualcuno, che magari ricordi nella tua infanzia, è stato pure in carcere. L’ingresso all’ Archivio Centrale dello Stato a Roma è libero. Chiunque può documentarsi. Per arrivare: metro B, fermata EUR Palasport. Dieci minuti a piedi fino a Piazza degli Archivi.
Ho invece parecchi dubbi se rendere pubblico qualche libello di Della Scala. Ci sono citati molti cognomi ( anche il mio ed il tuo ). A 100 anni di distanza potrebbero ancora ledere, legittimamente, la suscettibilità di qualche discendente. La questione quindi, per adesso, preferisco approfondirla solo in privato, tanto ci incrociamo spesso per le vie del paese.
Ti lascio con una citazione di Voltaire : ” Caro amico, tu mi parli dei palazzi e delle torri del tuo paese. Parlami dei tribunali e delle carceri, di come ci vive e ci muore la gente. Solo così capirò se il tuo è un paese di uomini”
Carissimo Franco,
anzitutto ti ringrazio per le attestazioni, gradite, di buona fede che mi rivolgi. Alla fine di questa mia lunga, ma serena ed amichevole replica, le ricambierò. Intanto premetto che questa nostra Italia è solamente un’espressione geografica; di fatto è colonia americana e della Nato – oggi anche delle banche tedesche- sin dal Luglio del 1943, da quando gli anglo-americani ci hanno invaso dalle coste della Sicilia e da quando la massoneria internazionale che fa capo alla corona britannica ha influito e influisce sulle nostre sorti. Questo vassallaggio e questa subalternità a queste forze oggi è rappresentata,nel parlamento italiano da una variegata area trasversale,capeggiata da un partito che, equivocamente, viene definito erede del fascismo. Nulla hanno a che vedere con questo partito le menti, i cervelli e i cuori di chi si ispira ancora, a circa ottant’anni dalla fine della guerra, a valori della Tradizione, a valori sociali, anti capitalistici, anti massonici e ripudia l’usurocrazia mortifera e lo strapotere delle multinazionali. Per restare ancorati al nostro piccolo microcosmo paesano, che in un contesto così immenso è solo un atomo, riprendo quanto scrivi sul podestà Francesco Della Scala per notare che le lotte politiche paesane sono state sempre costituite da schermaglie, polemiche, personalismi, colpi bassi esagerati e Cincrundi non si è sottratta a queste modalità negli anni ’20. Quanto Della Scala ha realizzato per il paese,quanto impegno e attaccamento ha profuso lo riscattano da qualsiasi libello con caduta di stile e alzata di toni. Per quanto riguarda la schedatura degli oppositori locali da parte dell’OVRA (Organizzazione volontaria per la repressione dell’antifascismo) è più caricaturale che poliziesca. E la polizia e i carabinieri, pur essendo al servizio e a difesa dello Stato, agivano ed operavano anche in autonomia. Ti domando: chi fra gli oppositori schedati, come Mico di Ciccia, è stato perseguitato e incarcerato ? Dove e quando ? In quel mondo di artigiani, di emigrati che ritornavano, di braccianti, di giovani, a farsi largo nelle loro vite era più la speranza che le cose in paese migliorassero che non l’assoluta disperazione che era pre-esistente al regime. Su un punto sono d’accordo con te: il freno della borghesia agraria all’applicazione della legge sulla colonia parziaria e sulla mezzadria che il regime aveva realizzato. I vari duchi, marchesi e conti mal digerivano la battaglia al latifondo che il regime aveva intrapreso.I primi risultati di questi cambiamenti si videro nella Sibaritide,bonificata dalla malaria e in alcuni posti della Piana di Lamezia. Finisco qua e ti propongo uno stralcio della lettera ai “fratelli in camicia nera” che Palmiro Togliatti indirizzò nel 1936 agli italiani”…Noi abbiamo ragione di inorgoglirci della nostra patria. Questa Italia bella,queste ricchezze sono il frutto del lavoro dei nostri operai, dei nostri braccianti, dei nostri contadini, dei nostri ingegneri, dei nostri tecnici, del genio della nostra gente…Noi comunisti FACCIAMO NOSTRO IL PROGRAMMA FASCISTA DEL 1919, che è un programma di pace, di libertà, di interessi dei lavoratori; CAMICIE NERE ed ex combattenti d’Africa, vi chiediamo di lottare uniti per la realizzazione di questo programma…” Franco, saprai sicuramente che l’Italia nel 1927 era l’unica Nazione occidentale ad aver riconosciuto l’Unione Sovietica. Concludo qua:
a 70 anni, ancora sono convinto che se Nicola Bombacci, il romagnolo romantico co-fondatore del partito Comunista d’Italia nel 1924, ritornò in Italia dopo aver vissuto l’amara realtà della Russia bolscevica e nell’ora tragica della guerra del sangue contro l’oro e della guerra civile, è perchè volle lottare contro il capitalismo e l’usura, per la costruzione del socialismo, ideando i 14 punti del Manifesto di Verona (firmati anche dal giovane Dario Fo). Il 15 marzo del 1945 parlò a tremila operai in Piazza De Ferrari, a Genova, con queste parole:” Sono io compagni, sono sempre io…” Non aveva paura di nulla, cadde il 28 aprile del 1945 fucilato come il suo conterraneo, capo del fascismo. Cadde al grido di: Viva Il Socialismo, viva Mussolini. Fu poi esposto allo scempio di Piazzale Loreto, che Ferruccio Parri, socialista, definì “operazione di macelleria messicana”. Migliore sorte ebbe Ezra Pound, il Grande Poeta americano, che si sacrificò nella sua battaglia contro capitalismo e usura- che oggi sta lavorando quest’Italia ai fianchi come fosse un vecchio boxeur- schierandosi apertamente. Pagò con con la detenzione in una gabbia per anni e anni, come un animale. Le sue idee sono state profetiche: siamo colonia della peggiore America e dell’usurocrazia internazionale. Sarebbe ora di accorgersi che il fascismo è morto.Oggi i nemici della libertà e della giustizia sociale sono il capitalismo, l’usura, la massoneria internazionale e le multinazionali dei vari Bezos, Soros, Zuckeberg, Arnault e compagnia orrenda; hanno il volto cinico e spietato. Caro Franco, anch’io sono convinto della tua buona fede e mi compiaccio della tua immutata compostezza. Naturalmente mi auguro di avere il piacere di una nostra conversazione, libera da condizionamenti ideologici per ricercare, analizzare,sintetizzare quanto ci unisce.
Sono convinto che è più di quanto pensiamo.