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Eccoci alla 19ma puntata della nostra rubrica con le vecchie parole del dialetto cinquefrondese, molte delle quali ormai quasi del tutto sparite dall’uso quotidiano. Stavolta sono di scena i termini che cominciano con la J, ce ne sono tantissimi e fra quelli che proponiamo ce ne sono alcuni che appartengono davvero al passato remoto. Alzi la mano chi ha sentito o pronunciato di recente la parla jazzu o jenca o jersu. Poi ci sono anche casi, come quello del verbo jettari, che si prestano a più significati a seconda delle parole con le quali si accompagnano. Buona lettura
di Mimì Giordano
Janèstra o Jinèstra : ginestra, giunco. Pianta dal fusto non molto resistente.
Jàzzu: giaciglio per le pecore nella stalla, nell’ovile. Dal latino Jaceo (verbo Jacere). Espressione dei pastori rivolta alle bestie nell’ora serale in cui dovevano rientrare nell’ovile: a lu jazzu, a lu jazzu! Un’altra espressione che ho sentito a Cincrundi da una persona anziana la quale intendeva che il proprio figlio dovesse provvedere da sè a sistemarsi la propria dimora, il proprio giaciglio: sarrìa ura pe’ Peppi ‘mu s’acconza lu jazzu !
Jècca : espressione di nausea jecca mia, chi schifu !
Jènca: giovenca,vacca di un anno, ben fatta. In dialetto e in senso traslato, una ragazza bella, alta e formosa.
Jermanu: nome calabrese della segale, il cereale rustico con cui si fa il pane scuro; è ricco di fibre,sali minerali e proteine. Si tratta di una varietà che si adatta bene a climi freddi. Probabilmente la segale è stata introdotta in Italia dai germani (tedeschi) nella prima guerra mondiale e da cui il nome. Aspromonte e Sila sono i posti dove si coltiva ‘u jermanu (segale).Non molto distante da Cincrundi, a Canolo, è attiva la coltivazione della segale e lì viene prodotto l’eccellente pane di jermanu, mangiabile anche dopo 5-6 giorni e le croccanti friselle. Esiste un’altra ipotesi sulla provenienza del nome che lo farebbe derivare dallo spagnolo Jermano (fratello) in quanto cereale “fratello” del grano.
Jersu: terreno agricolo non coltivato, in stato di abbandono.
Jèsima: brina nottura e mattutina gelata, dannosa per le colture. Questa parola è utilizzata nel nostro dialetto non solo per indicare una sorta di malattia degli ortaggi, ma anche per sottolineare l’aspetto di una persona in cattivo stato di salute, il cui aspetto lo evidenzia. Un’espressione ascoltata: ” Mastru Melu parìa ‘ngnjesimatu quandu cumparìu a lu puntuni di lu Castedhu”.
Jettàri: gettare, lanciare. Attingendo dal dizionario Calabrese-Italiano del maestro polistenese Francesco Laruffa (n.1908 – m. 1972) propongo alcune espressioni con questa parola.
Jettàri la botta: lanciare una proposta, fare un’allusione.
Jettàri cantuneri: dire cose balorde,esagerate e sbagliate.
Jettàri l’àmaru: figurativamente gettare l’amo per attirare; adescare
Jettàri l’occhî: mettere gli occhi su una ragazza, per conquistarla
Jettari l’occhiu: adocchiare; è un’espressione superstiziosa,popolare
Jettàri ‘nterra: svalutare una persona o un’azione, un oggetto. Ridimensionare una persona “montata di testa”
Jettàri sangu: lavorare,faticare senza risparmiarsi, sacrificarsi per un obiettivo
Jettàri siccu: lanciare il malocchio, annichilire con occhi invidiosi.
Jettàri ‘ u bandu: divulgare una notizia senza riservatezza; bandire. Era il modo di informare la popolazione con cui Cucudhitu ‘u bandituri sino a fine anni ’50 a Cincrundi precedette l’utilizzo di megafoni ed altoparlanti, anche perché i rumori del traffico automobilistico all’epoca erano ancora molto ridotti.
Jettàri ‘u cinqu: rubare
Jettàri ‘u pigulu: portare jella, infastidire con racconti piagnucolosi, lamentosi.
Jettùmi: germoglio,pollone della pianta lasciato dalla secchezza o dalla potatura dei rami. Un detto che esprime una similitudine fra la pianta e l’uomo è questo: l’àrburu sicca e dassa jettùmi comu lu patri cu figghj e niputi.
Jìffulu: schiaffo sonoro, ma anche un calcio forte al pallone.
Jìma (oppure Imà): mamma, nel dialetto popolare cincrundisu
Joculanu: giocoso, allegro
Jùsu: giù, in basso, in campagna. Verso la parte bassa delle contrade del paese.
Jùtu: malandato, spacciato, senza speranza.